A tu per tu con Paolo Vizzari – Storie in cucina

Ad accompagnare Animenta e Fondazione Cotarella tra un laboratorio di cucina e l’altro è Paolo Vizzari, critico gastronomico con una spiccata passione per le parole che il cibo lo racconta. Più che un critico, un “narratore gastronomico”. Ma cosa fa un narratore gastronomico? Tra storie e sapori riscoperti, Paolo ce lo racconta in quest’intervista.

Narratore gastronomico: è così che definisci ciò che fai nella vita. Ma cosa fa esattamente un “narratore gastronomico”? In che modo il cibo può raccontare delle storie? 

Il “Narratore gastronomico” è un ruolo che mi sono cucito addosso nel periodo in cui mi stavo svestendo dei panni del critico e cercando una strada per il mio futuro. Non mi ritrovavo più nel sistema editoriale classico, e ancor meno nel suo modo para-scientifico di sezionare il cibo, ma ero affascinato dall’idea di poterne raccontare il lato umano, colorato e misterioso nascosto dietro i fornelli luccicanti (ma un po’ scontati) che vediamo in televisione. 

Il cibo racconta storie su mille piani diversi, da quello personale di chi ti porge un piatto nella sua capanna amazzonica, a quello collettivo e quasi tribale dei grandi chef che spargono la cultura del proprio ricordo lungo i menu degustazione. Non esiste un linguaggio più assoluto e universale, non esiste uno strumento più utile per viaggiare e carezzare il mondo. 

Cosa rappresenta per te il cibo oggi? Cosa ti ha spinto a farne una professione?

Con il cibo ho avuto un rapporto di amore e odio sin da quando ero bambino, perché mio padre era un critico importante già prima che nascessi, e io ho passato l’infanzia a girare con lui e la mia famiglia per i migliori ristoranti del mondo. Da un lato quindi la passione per quel retromondo di artigiani del fuoco e maestri della griglia, dall’altro la difficoltà nel trovare un punto di equilibrio tra la gola e l’evoluzione del mio corpo di adolescente. Prima obesità, poi bulimia, e infine un rapporto di pace basato sullo studio e la comprensione. Oggi guardo al cibo come la risorsa più importante per la mia persona. Al di là delle storie che mi permette di raccogliere, è il mio primo strumento per volermi bene. Misuro con gli occhi e con la testa. Ci lavoro perché sono madrelingua e provo a fare da mediatore con chi ne sente il richiamo, ma non ne comprende subito la natura. 

Hai deciso di costruire un ponte tra parole e cibo, due mondi che in realtà non sono poi così distanti, forse. La cura con cui si scelgono le parole ricorda un po’ quella con cui si scelgono gli ingredienti per preparare un piatto. Eppure mangiare è diventata forse un’abitudine “distratta”. Cosa ci stiamo perdendo, a tavola e non, del nostro rapporto esclusivo con il cibo?

Ci stiamo perdendo la sfumatura del nutrimento, perché ogni boccone che concediamo al nostro corpo lo arricchisce sul piano fisico, ma anche su quello emotivo e culturale. Per questo senso crescente di distrazione temo giochino un ruolo fondamentale le nuove abitudini di vita e l’evaporazione graduale dei normali momenti a tavola in famiglia. Si mangia a orari diversi, ciascuno quello che preferisce, e spesso si tengono gli occhi incollati su schermi di vario tipo. Senza convivialità non c’è spazio per il confronto sul cibo, e allora un bambino impara a mangiare senza nemmeno chiedersi cos’abbia nel piatto. 

Quando ci si ammala di un disturbo del comportamento alimentare l’abitudine del mangiare diventa un atto forzato, un’esperienza faticosa. Credi che raccontare con le parole i sapori, le geometrie e i colori del cibo possa in qualche modo restituire la piacevolezza che questa esperienza a 360 gradi racchiude in sé?

Io credo che un buon obiettivo condiviso da darci potrebbe essere quello di  provare a vedere il cibo come un’occasione preziosa e non come un pericolo da scampare, imparando a notare la differenza tra il piacere sostenibile e sano di uno spaghetto condito con sensibilità e moderazione, rispetto a un ingrediente in apparenza più innocuo ma trattato con sciatteria e disinteresse. Esistono tanti angoli da cui si può sbirciare il cibo per riconoscerlo fino a sentirlo più familiare e meno nemico, l’importante credo sia cercare un punto di vista che lo renda interessante ai NOSTRI occhi e studiarlo come un libro. Le stanze buie ci fanno paura, ma quando si accende la luce torna tutto alla serenità della conoscenza.





Contenuto a cura di Stefania La Mattina

PASTA DI SEMOLA DI GRANO DURO LUCANO

Rasckatielli

Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

Tracce di Glutine.

Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

306,5 kcal
1302 kj

Proteine

13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
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