Per un’Amelia che non esiste più
L’ho incontrata nel 2016, all’inizio del terzo anno di liceo. Una classe già avviata, amicizie già formate. L’ho sentita subito parte del gruppo. I suoi bellissimi capelli ricci e quei grandi, meravigliosi occhi scuri così brillanti. Aveva molta cura del suo aspetto, si truccava sempre con matita nera e mascara. Immancabile correttore sotto gli occhi, i suoi grandi occhiali che le donavano così tanto. Maglioncino sempre coordinato con le scarpe. La sua voce delicata tremava quando doveva parlare davanti a tutti. Abbiamo organizzato una presentazione aperta al pubblico sui maggiori autori italiani del Trecento. Ci siamo esercitati per settimane, ci fermavamo a scuola ben oltre l’orario di uscita per provare. Riguardando i video di quelle giornate mi fa tenerezza notare quanto siamo cambiati.
Era molto brava a scuola
Si impegnava molto, anche se a volte non andava come voleva. Prendere un voto più basso per lei era sconfortante, com’è normale che sia, però si dispiaceva perché si sentiva meno degli altri. Il confronto per lei è sempre stato uno scoglio insormontabile. Le persone intorno a lei avevano sempre qualcosa di più. Questo si notava non solo perché alle volte lo diceva proprio esplicitamente, dicendosi che era stupida, che non era in grado, che non era abbastanza, ma anche dalla quantità di complimenti che dedicava agli altri. Come sei bella oggi. Mi piacciono un sacco i capelli così. Sei stato bravissimo a latino! Non era competizione. Ha sempre avuto grande ammirazione nei nostri confronti, ed era sincera. Non voleva gareggiare. Semplicemente pensava davvero tutte queste cose negative di se stessa, nonostante trovasse l’esatto opposto nelle nostre parole. Non voleva ascoltarci, o forse non ci riusciva.
Sprofondava in insulti e cattiverie gratuitamente autoinflitte
L’estate dopo il quarto anno la scintilla nei suoi occhi si è iniziata ad affievolire. Aveva smesso di portare la merenda a scuola. Non uscivamo più a mangiare insieme, o se lo si faceva lei ci raggiungeva dopo, o diceva che aveva già mangiato a casa. Quell’anno abbiamo fatto la nostra prima vacanza insieme, a casa al mare di Ludovico. Beveva tantissime tisane fredde tutto il giorno. Il momento del pasto era sempre ad un orario specifico. A colazione il minimo indispensabile. Teneva continuamente ogni cosa sotto controllo. Amelia stava scomparendo sotto i miei occhi e io non sapevo cosa fare. Il senso di colpa per la mia impotenza andava oltre ogni limite. E con me anche gli altri. Ci provavamo a confrontare, a capire come potessimo aiutarla. Un giorno di settembre mi chiese di starle vicino mentre faceva una telefonata. Una settimana dopo entrai in classe. Sul telefono un messaggio. Mi hanno ricoverato, non dirlo agli altri ancora ti prego. Spero che, ovunque sia, mi possa perdonare per non aver mantenuto la parola. Cercai di incoraggiarla, di starle vicino.
Vedrai che ti daranno l’aiuto di cui hai bisogno e finirà presto
Il quinto anno lo passai senza una compagna di banco. Il sabato uscivamo da scuola a mezzogiorno. Io e Ludovico pranzavamo a casa sua e poi andavamo a Policlinico per fare visita ad Amelia. La prima volta che sono entrata in reparto ho avuto un vuoto nello stomaco per tutto il giorno dopo. Porta chiusa, alla quale si accedeva tramite un citofono gestito dal personale, sulla sinistra una saletta apposita per gli incontri. Un piccolo corridoio portava alla zona comune dove le ragazze ricoverate potevano mangiare. Sul fondo le stanze. Pareti coloratissime, verde acido, rosa, disegni, decorazioni. Aria pesante. Finestre oscurate e bloccate da grate. Ogni vetrata era impenetrabile dal riflesso. Così non possiamo vederci, non ci sono specchi neanche al bagno. Le pinzette, il phon, le forbici, il tagliaunghie, le lime, i rasoi. Tutte cose che dovevano chiedere le pazienti. Persino i caricatori di telefoni o computer. E un infermiere sarebbe arrivato a sorvegliarne l’utilizzo. Nella stanza dei visitatori c’era un tavolo e tante sedie. Una lavagnetta bianca sulla quale ci divertivamo a disegnare io e Ludo. Le raccontavamo la settimana a scuola, interrogazioni, compiti, cose divertenti che erano successe. Le portavamo un libro nuovo da leggere. Passava un paio d’ore senza troppi pensieri. Non andavamo mai via volontariamente, aspettavamo sempre che fosse l’infermiera di turno a portarci via di peso. Aveva smesso di fare danza da quando era iniziata la terapia. Glielo avevano imposto i suoi medici, dicendo che non era abbastanza in forze per poter sostenere uno sport.
Non le diedero l’uscita per passare il Natale con la famiglia
Aveva mancato l’obiettivo che volevano loro. Non ha potuto esserci alla festa per il mio diciottesimo compleanno. Qualche mese dopo avevo allentato la mia presenza. Non la cercavo più come prima, e mi sentirò per sempre in colpa per questo. Aveva bisogno di me e io non c’ero più. Spero mi perdonerà. Sapere quanto stesse male e come io non riuscivo più a reggere la situazione mi ha fatto capire quanto in realtà fossi debole. Riuscì finalmente ad ottenere il day-hospital, non doveva più rimanere costretta tra quelle quattro pareti. Continuò a studiare parallelamente a noi con altri professori che collaboravano con la struttura. Facemmo la maturità senza di lei. Fu la prima a diplomarsi. I suoi sforzi furono ripagati. L’estate del quinto anno facemmo tutti vacanze separati. Lei non venne. A settembre 2018 iniziò l’università, si iscrisse a giurisprudenza. Per quasi altri tre anni continuò la terapia al Policlinico. Amelia era sfiancata, stanca. Continuamente a correre tra ospedale, terapisti, casa, università. Riusciva comunque a conciliare tutti gli impegni. Faceva ancora fatica a uscire con gli amici. Diceva che non ci sarebbe stata, o a volte non rispondeva proprio ai messaggi. A inizio 2021 cambiò tutto il team intorno a lei. Timidamente aveva ripreso a partecipare a compleanni, eventi.
E dall’oggi al domani era sempre con noi
Quell’estate organizzammo una vacanza al mare da Delia, a Castiglione. Era la prima dopo anni. Amelia continuava a controllare. Adele stava aggiungendo al suo piatto altri mille colori. Amelia doveva mangiare ad orari ben precisi. Eravamo in salone quando ho visto in lei lo sguardo spaventato. Le ho preso la mano e ci siamo spostate in camera. Le ho chiesto cosa stesse pensando, se voleva parlarne. Mi ha detto che era turbata perché l’orario in cui mangiava di solito era passato da un po’ e lei ancora non aveva pranzato. Amelia era terrorizzata. L’ho abbracciata, le ho detto che non stava succedendo niente, che avremmo mangiato di lì a poco e che poteva stare tranquilla. Sai, quando mi trovo in queste situazioni una parte di me inizia ad arrabbiarsi, mi dice che sto perdendo il controllo, e inizia a combattere con l’altra parte di me che prova a tranquillizzarsi perché, alla fine, che sarà mai… Se proprio vedi che non ce la fai verrò a tavola con te e ti farò compagnia per mangiare. Adele mi ha ringraziato con le lacrime agli occhi, dicendomi quanto fosse importante sentire la vicinanza in un momento così. Per lei era difficile mettere a tacere Amelia e tutte i brutti pensieri che provavano a entrarle in testa.
Quel giorno ha mangiato quasi due ore dopo il solito
Abbiamo condiviso il pranzo tutti insieme in balcone, con le prime luci calde del pomeriggio sulle tende. Dopo anni siamo andati a cena fuori tutti insieme. Amelia è andata nel pallone, ma Adele è riuscita di nuovo a costringerla al silenzio. Non poteva permettere che avesse il sopravvento ancora una volta. Siamo andati in spiaggia tutti insieme. Aveva un bellissimo costume rosso. Potevo ancora vedere nitidamente le sue scapole e le sue vertebre. Sei molto bella. Dai, smettila! Accetta un complimento per una volta, dammi una soddisfazione. Ci siamo guardate, mi ha sorriso. Ti voglio bene, e grazie. Per cosa? Per tutto, lo sai. Un sorrisetto vispo è apparso sul suo viso. L’ho stretta forte a me.
Non potrò mai dimenticare quel pomeriggio a fine agosto, quell’anno
Eravamo tutti seduti sui divani del salone. Era quasi il tramonto. Ci siamo lasciati andare alle emozioni e ci siamo confidati. Abbiamo parlato dell’affetto che ci lega, di quanto stessimo bene insieme. Di quanto facessimo affidamento gli uni sugli altri, con la certezza che non saremo mai caduti. È stato un momento di profonda intimità. Adele ci diceva quanto fosse grata di averci. È solo grazie a voi se sto meglio, è tutto merito vostro. Quanto fosse contenta perché finalmente la luce la stava vedendo davvero. Ancora una volta i meriti li vedeva fuori di sé – questo brutto vizio non le passerà mai. Le abbiamo ricordato, e le ricordo tutt’ora, quanto invece tutto questo è merito suo. Adele ha avuto la forza di alzarsi e reagire. Di prendere in mano la situazione e cambiare le regole del gioco, decidendo lei la prossima mossa. Si è ripresa la sua vita, perché lo era di diritto, cacciando Amelia, che le era entrata in testa e aveva preso il comando dei suoi pensieri. Non so bene, e forse non lo sa neanche lei, cosa sia stato ad averla scossa. Ma questa è una domanda che rimarrà per sempre tale.
Adele mette la matita blu sugli occhi
La cura del suo aspetto è rimasta invariata, e ora in situazioni particolari mette anche il rossetto. Anche le tisane sono rimaste, ma ora le beve per il puro gusto di provare nuove infusioni. Indossa vestiti, gonne. Abbina ancora il maglione alle scarpe. I suoi ricci sono più belli che mai. Ha imparato a farsi valere e a difendersi – anche da se stessa. Non so se però si renderà mai conto di quanto vale davvero. È una confidente eccezionale. Lascia qualcosa di bello a chiunque abbia la fortuna di incontrarla. A me, ad esempio, ha lasciato tante consapevolezze, mi ha insegnato che l’abbraccio di un amico a volte vale più di mille parole; che non importa per quanto tempo non ci si senta perché l’affetto va oltre; che nonostante tutto quello che può succederci ci sarà sempre modo di uscire dai periodi bui.
Amelia è morta un anno fa. Nello stesso momento ha dato luce a Adele e io non potrei essere più grata. Ci sono alti e bassi, com’è naturale che sia. Ma io non ho mai visto tanto coraggio, tanta forza, tanta energia vitale come quella che brilla nei grandi, meravigliosi occhi scuri di Adele.