Avevo circa 8 anni quando per la prima volta cominciai a nascondere alcune barrette di cioccolato sotto la felpa per portarle in camera. Le mangiavo durante la notte così che mia mamma non mi potesse vedermi, perché sapevo che si sarebbe arrabbiata. Qualche mese dopo smise di comprarmele e non me ne fece toccare più mezza.
Il motivo non lo capivo, non ero ancora abbastanza grande per capirlo.
In un attimo mi sono ritrovata in una nuova classe con nuovi compagni e nuovi insegnanti. Era difficile per me fare amicizia, io che avevo sempre avuto poche amiche ed ero stata presa in giro così tante volte.
D’estate fingevo di stare male e mi facevo riportare a casa dal campo estivo perché alcuni bambini mi prendevano in giro. Ricordo che un giorno mia mamma e mio papà mi hanno fatta mettere davanti allo specchio e mi hanno lasciata lì a piangere, per poi dirmi che le persone ti prendono in giro proprio quando ti vedono debole e sensibile. Da quel giorno ho iniziato a mostrarmi un più forte, più “furba”, ed è a quell’età che ho imparato a costruirmi la corazza che mi porto ancora dietro tutt’ora.
Il periodo delle medie è stato il più difficile per me. In seconda media, per una serie di fattori, ho iniziato a non stare più bene con me stessa.
Attribuivo a me stessa la colpa del fatto che gli altri mi prendessero in giro, credevo di non essere abbastanza forte come le mie compagne o abbastanza bella.
A un certo punto ho conosciuto un ragazzo che mi è davvero stato accanto in quel periodo, ma quando ha iniziato ad allontanarsi da me mi sono ritrovata nuovamente sola, tanto che ho iniziato a inventare delle scuse per cercare di ottenere da lui delle attenzioni.
Il giorno di Natale di qualche anno fa, mentre i miei genitori stavano guardando un film, sono entrata in bagno e nel periodo forse più brutto della mia vita, ovvero il periodo dell’autolesionismo, con cui convivo ancora oggi.
Ogni mattina e ogni pomeriggio, qualunque fosse la stagione, andavo in giro con felpe e maglioni pesanti per coprirmi la pancia, le braccia e le cosce.
Ero caduta in depressione, non ridevo più e non riuscivo più a socializzare con nessuno. Sapevo che mi avrebbero giudicata se avessero visto come ero ridotta sotto i vestiti.
Ma non è finita qui: l’odio profondo che provavo per me stessa mi ha portata anche a smettere di mangiare.
Durante le mie giornate avevo un unico pensiero: il cibo.
Andavo in panico anche per un minimo cambiamento delle quantità di ciò che mangiavo, la notte avevo i crampi allo stomaco e ogni volta che mi veniva fame mi ingegnavo per trovare strategie che mi consentissero di non mangiare. E quando mangiavo e i sensi di colpa mi divoravano, cercavo di compensare rispetto a ciò che avevo fatto.
“Non sei abbastanza bella”, “non sei abbastanza magra” erano le frasi che mi ripetevo tutti i giorni davanti allo specchio.
Poi i miei genitori, che fino ad allora forse avevano un po’ fatto finta di non vedere, hanno scoperto tutto guardando il mio cellulare.
Ricordo mia mamma e mio padre in lacrime che mi guardavano e quasi avevano paura di me. Ricordo lo sguardo di mia mamma seduta in cucina, che non riusciva quasi a trovare le parole per comunicarmela quella sua paura.
Più volte ho pensato al peggio, ma a un certo punto la strada ha iniziato a prevedere anche qualche discesa.
Era gennaio quando ho iniziato ad andare dalla psicologa: la prima volta sono entrata piangendo, con un corpo sofferente, l’ultima volta sono uscita che ero un’altra persona.
Il percorso di riabilitazione è stato lungo, ci sono state delle ricadute e tante volte ho pensato di mollare tutto, ma i miei genitori non me lo hanno mai permesso.
Durante il percorso ho imparato a cavarmela da sola, a non dipendere più da una persona, ma allo stesso tempo ho imparato ad aprirmi un po’ di più con gli altri.
Ad oggi, purtroppo, situazioni e persone mi hanno portato ad avere alcune importanti ricadute. E quello che ho vissuto non fa solo parte del mio passato, perché me lo porto dietro ogni giorno.
Ma se sono qui oggi a parlarne è grazie all’aiuto di alcune persone che si sono accorte della mia situazione evitando che io mi facessi ancora più male.
Rinnegare il proprio passato o volerlo cambiare è inutile, continuare a vivere nel passato lo è ancora di più. Quello che posso fare è continuare a vivere con la consapevolezza che ho il potere di cambiare il finale, e di affrontare quelle stesse situazioni in un altro modo.
L’articolo è stato scritto da Elisa, che ha raccontato la sua storia