Animenta racconta i disturbi alimentari – La storia di Elisa

Ciao a tutti, dopo 24 anni di vita anche io non voglio più essere invisibile, per cui prendo coraggio e mi racconto. Spero che questa storia vi possa far sentire un po’ meno soli.

Sono Elisa e quando avevo 3 anni mi è stata diagnosticata la sordità. I miei genitori vedevano che quando mi chiamavano io semplicemente non mi giravo e, alla peggio, nemmeno parlavo.

Ho messo degli apparecchi acustici (prima esterni fino a 20 anni, poi interni) e fortunatamente, grazie ad un duro lavoro di logopedia, oggi sono autonoma. Parlo così bene che nemmeno si nota, sento relativamente bene, sono indipendente e sono molto brava in lingua inglese. Sono arrivata dove sono perché di mio sono estremamente testarda e intelligente. Ma, nonostante tutto, mi sono sempre sentita e mi sento diversa. Fuori posto e parte di nessun gruppo, di nessuna comunità di questo mondo.

Per svariati motivi, la mia infanzia non è stata per niente facile.

Vi cito alcuni esempi.

Ho frequentato le scuole in un paese diverso da quello in cui vivevo, per cui non ero parte di nessuno dei due paesi e mi sentivo emarginata. Mio fratello mi ignorava perché vedeva che i miei genitori davano più attenzioni a me. Sono stata vittima di bullismo alle elementari e alle medie a causa della mia sordità.

Si dice che nella vita niente è mai abbastanza e fu così che ad un certo punto anche i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) bussarono alla mia porta.

Quando sono nata ero parecchio grande. In famiglia siamo tutti grandi. Oggi conto ben 1.80m di altezza. Sono alta, riccia e con i capelli biondo-castani (il colore si decide da solo in base alla stagione).

Sono sempre stata una bambina robusta e paffutella, ma non da chiamare grassa o in sovrappeso. Ero una buona forchetta e mangiavo un po’ di tutto.

Alle elementari e alle medie non davo importanza al mio aspetto esteriore perché mi reputavo “normale” e non facevo differenze con gli altri. Ma, nonostante questo, il pediatra diceva a mia madre di limitare la quantità e la scelta degli alimenti, le nonne e i parenti non mancavano mai nel criticare il mio fisico con frasi del tipo “sei un po’ grossetta” e poi, per contraddizione, erano i primi che alle feste mi offrivano porzioni di cibo che non chiedevo o mi davano i cioccolatini e le merendine di nascosto.

Iniziai il primo anno di liceo e per la prima volta mi guardai intorno

Durante l’adolescenza, come è giusto che sia, nella propria mente si comincia a definire la propria identità e dimensione corporea. Mi confrontavo con i miei compagni e tutti gli altri ragazzini della scuola e mi vedevo troppo grande, troppo grassa e troppo alta. Troppo Elisa. E mi vergognavo da morire delle protesi acustiche, che cercavo di nascondere in ogni modo.

Tutti mi sembravano regolari, più o meno della stessa altezza e “normali”. Mentre io mi percepivo fuori posto. Già mi sentivo diversa perché ero sorda, figuriamoci in quegli anni! Mi sono sentita ancora più diversa.

E così alla fine del primo anno di liceo, mi promisi di perdere qualche chilo “giusto per mettermi un po’ in forma” (= per conformarmi agli altri = per farmi accettare dagli altri = per piacere ai ragazzi). Ricordo ancora quel giorno di giugno, l’ultimo giorno di scuola, in cui al pomeriggio stesso per la prima volta misi piede in un centro di dimagrimento.

Nessuno si sarebbe mai immaginato che una dieta scritta su un foglio volante sarebbe potuta essere l’inizio di un calvario durato anni e di cui mi porto ancora le conseguenze.

Tutto in nome dell’essere accettata

Inutile dire che quando tornai a scuola per l’inizio della seconda superiore ricevetti un sacco di complimenti. Sembrava che fossi più bella e che i miei compagni mi parlassero di più. Negli anni successivi persi chili su chili. Mi pesavo spesso e, fiera di vedere quel numero sulla bilancia calare, proseguivo imperterrita. Non un dolce, non una pizza. Non erano concessi. Ero impeccabile nell’alimentazione anche quando la mia vita andava a rotoli ed era un completo disastro. Cucinavo tantissimo per gli altri, guardavo ore ed ore di videoricette, ma io non assaggiavo mai.

Cambiai moltissimo e divenni sempre più magra fino a raggiungere il sottopeso. Ma non bastava comunque, perché non ero abbastanza magra e mi vedevo sempre troppo grassa. L’ora di educazione fisica negli spogliatoi per me era tremenda perché ci si doveva cambiare davanti alle altre compagne di scuola. Avevo la sensazione di essere sempre osservata e giudicata con un “il corpo di Elisa non va bene”.

Il confronto

Invidiavo le mie compagne perché secondo me avevano un fisico più bello del mio, erano più proporzionate, erano più femminili. Loro avevano il ragazzo perché erano più carine e più magre di me ecc., mentre io invece mi guardavo e mi disprezzavo. Sempre di più.

E fu così che mi ammalai di anoressia. E andò di male in peggio, perché io volevo semplicemente sparire. Io non ricevevo le attenzioni che pensavo di meritare di ricevere. Ero isolata, e per quanto lo desiderassi, non avevo un rapporto stretto con nessuno dei miei compagni di classe e le uniche persone su cui facevo affidamento mi abbandonarono. E i parenti non mancavano mai con le loro critiche, stavolta con un “sei un po’ troppo magra, basta dimagrire”.

Gli anni delle superiori volarono principalmente chiusa nella solitudine, nello studio, nell’ossessione per la magrezza e nell’odio per il mio corpo e la sordità.

Durante i weekend non uscivo mai e non avevo particolari interessi. Si potrebbe dire che non ho avuto un’adolescenza, che mi è stata letteralmente rubata. Problemi e fatiche più grandi di me mi hanno divorata e consumata. E la cosa peggiore è che nessuno poteva capirmi. Continuavo a pensare “perché la vita ha voluto punirmi rendendomi alta, grassa e sorda?”.

Io vedevo i miei coetanei che facevano la vita che io avevo sempre sognato: le feste durante i weekend, le uscite in centro con gli amici nel doposcuola, i primi baci, i primi morosi, le prime cotte, le prime esperienze di vita, i primi approcci nel mondo social ecc. Se riguardo le foto di quegli anni, vedo una Elisa spenta, consumata dal dolore e alla perenne ricerca dell’accettazione degli altri.

Ho capito solo più tardi che ero io a dovermi accettare così come ero, con le mie imperfezioni

Nell’ottobre della quarta superiore, spinta da una fame atomica, un pacco di biscotti mi sembrò una carezza in un momento così brutto della mia vita. Sprofondata nella tristezza nella solitudine, con zero voglia di studiare storia dell’arte e le lacrime agli occhi, il mangiare qualcosa di dolce mi diede un sollievo così inspiegabile che per un momento mi fece sentire meno sola e mi spinse a continuare su questa strada. Il cibo diventò tutto il conforto che questo mondo non riusciva darmi. Quando io in realtà avevo fame di vita, fame di relazioni umane, fame di sentirmi importante per qualcuno. Recuperai un po’ di peso, ma non troppo da creare sospetti.

Un giorno però, mi stancai di queste continue perdite di controllo. Io volevo indietro il controllo di prima, volevo la soddisfazione di vedere il peso continuamente calare. Non volevo più permettere alle calorie del cibo di avere effetti su di me e così trovai soluzioni più drastiche. Ciò che non volevo in realtà era tutto il dolore che avevo dentro. E così silenziosamente la bulimia si infilò nella mia anima.

Ma il periodo bulimico fortunamente durò poco, perché ebbi il coraggio di chiedere aiuto. Fui seguita in un centro specializzato in DCA, ma nessuno psicologo, nessuna dietista e nessun medico sembrava fosse in grado di capirmi. Ne cambiai molti, ma più loro mi dicevano che ero troppo magra, più mi sentivo ferita e più ritornavo nel mio mondo fatto di solitudine ed incomprensione. E di voglia di dimagrire e voglia di sparire. Io volevo qualcuno che mi facesse sentire amata, non che mi trattasse come un mucchio di dati e di parametri fisici.

A scuola nessuno sapeva niente, nessuno si accorse di niente

Nessuno si preoccupava per me. Non un compagno, non un professore, non un membro della mia famiglia. Divenni sempre più brava ad indossare una maschera: Elisa in forma, ottimi voti a scuola, brava ragazza ed amorevole. Ma nella realtà abbiamo ben capito quanto io soffrissi da morire. A parole non saprei nemmeno quantificare. Mi ricordo solo le innumerevoli volte in cui guardavo dalla finestra della mia scuola, dal sedile dell’autobus con cui tornavo a casa quando pensavo a quanto speravo che la mia vita cambiasse o a che vita avrei avuto se non fossi stata così sfortunata. E, con sforzi sovraumani e con la testa da un’altra parte, presi la patente per l’auto e poi la maturità in quinta superiore. Con grande dispiacere e rammarico, uscii dal gruppo WhatsApp della classe e non rividi più nessuno. Mi lasciai tutto alle spalle sperando che le cose potessero cambiare per davvero. Che povera illusa che sono stata

Inizia l’università

Mi iscrissi alla facoltà di Biotecnologie, quasi per caso, perché non sapevo cosa fare della mia vita e perché per me non vedevo un futuro felice.

Diciamoci la verità, nessuno nelle mie condizioni e con il mio trascorso avrebbe voluto pensare a cosa diventare da grande. Sinceramente non mi importava neanche. Feci il primo anno da pendolare e poi mi trasferii nella città universitaria.

I primi mesi da fuori sede andarono alla grande: nuova energia, nuova indipendenza, mi sentivo forte. Ma i primi litigi e le prime critiche con i coinquilini fecero rinascere le ormai dimenticate perdite di controllo in vere e proprie abbuffate. Mi rinchiusi in camera, smisi di andare a lezione e passai buona parte delle mie ore a mangiare cibo di ogni tipo e in grandi quantità davanti a puntate di Netflix che scorrevano in automatico. Avevo messo la mia vita in pausa e mi ero anestetizzata.

Volevo solo riempire quel vuoto così grande dentro di me che negli anni era diventato immenso, che avevo fatto finta di non vedere per troppo tempo. Finché lui è poi uscito nel peggiore dei modi.

Presi parecchio peso fino a toccare un peso di gran lunga superiore a quello che avevo quando iniziai la mia primissima dieta. Mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo più. Vedevo una faccia gonfia e un corpo deforme. Avevo perso ogni confine di me stessa. Avevo perso tutti gli anni passati ad essere “perfetta”. Svaniti come un pugno di sabbia al vento. E di nuovo, di fronte all’evidenza del problema con il cibo, ricominciai ad essere seguita da un’équipe specializzata nel trattamento dei DCA, ma di nuovo senza risultati e con un ricovero in mezzo.

Cosa ho imparato

L’esperienza nella casa di cura è stata toccante, lì ho avuto modo di vedere come ci si riduce a causa del sentirsi inadeguati, con un DCA. Da quel momento ad oggi è stato un susseguirsi di piani alimentari e psicoterapia, di aumento e di perdita di peso.

Alla fine ne sono uscita e mi sono stabilizzata, anche se mi porto dietro gli strascichi della malattia e qualche volta le voci nella testa ritornano. Mi sono comunque laureata in tempo e ho affrontato un Erasmus grazie alla mia testardaggine, al mio non volermi sentire fallita e alla voglia di esplorare il mondo.

La forza per andare avanti è partita tutta da me. Quando ti capitano certe situazioni nella vita, vuoi o non vuoi, queste ti fortificano e ti fanno crescere.

Quando non puoi controllare il mondo fuori di te e tutto sembra remarti contro, ecco che il proprio corpo diventa uno strumento per poterti esprimere e per avere il controllo della tua vita.

Mens sana in corpore sano. Chi vive un DCA sa benissimo che la mente segue il corpo e il corpo segue la mente. Quando uno dei due non funziona o non sta bene, l’intero sistema crolla. Il mondo della persona crolla.

Non si può scegliere di ammalarsi di disturbi alimentari (le cause sono multifattoriali), ma si può scegliere di guarire e di raccontare la propria storia. È insieme e contro i pregiudizi che si può davvero fare la differenza.

Vostra Elisa

L’articolo è stato scritto da Elisa, che ha raccontato la sua storia

Contenuto a cura di Animenta

PASTA DI SEMOLA DI GRANO DURO LUCANO

Rasckatielli

Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

Tracce di Glutine.

Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

306,5 kcal
1302 kj

Proteine

13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
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