Ciao, sono Stefania. Sono una ragazza di 25 anni, da fuori ho un corpo che molti definirebbero nella norma, un po’ bassina, ma non si direbbe che io abbia un DCA. Partiamo dall’inizio.
Avevo circa 9 anni la prima volta che ho sentito l’urgenza di andare in frigo e svuotarlo
completamente. I miei genitori erano appena usciti.
Nella mia famiglia, da sempre ci sono stati ideali di perfezione, sia fisica che di studi che di
carriera.
Tutti proiettati su di me. Perché?
Perché sono sempre stata la figlia perfetta. Bravissima a scuola, bravissima a lezione di pianoforte, bravissima a tennis. Una bambina piena di talenti che in un momento X della sua crescita, per opposizione, sceglie di utilizzare il cibo come meccanismo per fare unicamente ciò che le piace. Mangiare dolci. Qui inizia a crollare il castello di carta. Ora la bambina perfetta è disubbidiente perché mangia tanto. E non va bene. Me ne dicevano di ogni, sia mio padre, che mia madre, che mia nonna. “Sei bassa, se mangi tanto fai la pancia e si vede” è quella più gentile.
A circa 10 anni non puoi immaginare che questa loro proiezione provenga da traumi intergenerazionali. E quindi inizi a darti la colpa di essere una delusione per la tua famiglia. Inizi a sentirti sbagliata e di troppo. Inaccettabile e orrenda. Ma la cornice di questo quadro pieno di disprezzo si sgretolava ogni giorno di più.
La mia storia
La prima volta che ho detto a mia madre di lasciare mio padre, avevo 5 anni. I miei genitori
sono sempre stati in perenne conflitto, anche fisico. E ogni volta che ho provato invano a
farmi carico di questa situazione, l’unico rifugio era il cibo. Ho interiorizzato una figura
maschile tossica e patriarcale. E ho scelto un fidanzato che rispecchiava a pieno quelle
caratteristiche. Avevo 14 anni. Il rapporto con il mio corpo era già travagliato. A volte esageravo e a volte mi privavo del cibo. Ma riuscivo comunque ad essere stabile, fisicamente.
Continuavo a vedermi orrenda. Questo ragazzo è stato colui che, sicuramente insieme anche ad altri fattori, mi ha portato nelle braccia del DCA.
Dopo 3 anni di violenze fisiche e psicologiche l’unico rifugio era rimasto, nuovamente, il cibo. Questa volta, però, ero ingrassata. Tanto. E mi nascondevo. Non uscivo più di casa. Non volevo andare a scuola.
I miei amici mi prendevano in giro perché mangiavo tanto. Quando ho avuto il coraggio di scappare da una relazione tossica, costellata anche da un gruppo di amici altrettanto tossici e insensibili, ho ridotto la quantità di cibo che mangiavo. E il mio corpo è cambiato di conseguenza, in modo molto veloce.
Avevo appena festeggiato i miei 18 anni
È opinione diffusa che dimagrire sia obbligatoriamente sinonimo di felicità, di successo, di benessere. Ma questa visione andrebbe rivista. Fatto sta che, come spesso accade, finalmente mi sentivo apprezzata a casa. Tutti si complimentavano e mi chiedevano come avessi fatto. E quindi mi iscrissi in palestra. Facevo alcuni pasti e andavo in palestra. Stop. 3 mesi così. Intensi. Fino al limite. Mi sentivo euforica. Implacabile. Fino al pacco di biscotti. “Ne mangio solo uno”. E mezz’ora
dopo, completamente dissociata, fisso il pacco vuoto. In quel momento è ricominciato un
loop. Ho ripreso peso. Inaccettabile. A scuola non seguivo. Pensavo continuamente al
mio vecchio corpo. Torno in palestra. Ma questa volta non funziona. Mi abbuffo. Perché?
Perché ho bisogno di essere amata. E quindi frequento qualsiasi ragazzo. L’importante è
che mi apprezzi e mi dica che valgo qualcosa. Ma ovviamente non succede.
Ma poi finisce il liceo
Smarrimento. Che si fa ora? Avevo molte opzioni. Il conservatorio, o una triennale in
psicologia. Ma pensavo di non farcela. E quindi ho passato 2 anni a lavorare come
cameriera. Esercizio fisico e il minimo nutrimento. E quindi perdo peso, ancora una volta. Due anni di caffeina, nicotina, a volte anche sostanze. Va bene tutto purché mi tenga attiva e purché non sia cibo. Ma a 21 anni mi rendo conto che questo mondo non mi piace. Quello della ristorazione, oltre a quello reale.
La musicoterapia mi ha salvata
Voglio tornare a fare ciò che amo. Suonare, studiare e leggere. Quindi inizio un corso quadriennale di musicoterapia.
Ecco. Questa è stata la mia salvezza. Riprendere a studiare, essere curiosa. Tornare a
suonare il pianoforte con amore e passione. Ma, lasciando il lavoro, ingrasso. Altra ricaduta. Ma questa volta ho i libri e la musica. Decido per la prima volta di seguire un’alimentazione nutriente. Siamo nel 2018.
Conosco un ragazzo. Non mi convince, ma lui mi ama tanto. Ho bisogno di sentirmi
apprezzata. Ci mettiamo insieme. Mi innamoro. Prima dimostrazione per me stessa che si può essere
apprezzati anche con qualche kg in più. Un anno dopo entro in conservatorio. Ora è tutto a posto. Ogni tanto mi capita di abbuffarmi, ma tutto il resto va avanti. Il mio corpo ancora non lo apprezzo, c’è poco da fare, ma avere qualcuno che mi ama mi fa sentire al sicuro.
Poi lockdown. Panico.
Scopro lo yoga. Perdo nuovamente del peso, mi sento pienamente in pace e inizio a vedermi meglio. Sono ancora a dieta, dopo due anni. Ma poi non mi basta più solo lo yoga. Inizio a correre frequentemente e continuo a fare yoga. Scopro che c’è qualcosa che mi fa sentire bene e a
contatto con il mio corpo. Il mio corpo cambia ancora, ma gradualmente. Inizio ad apprezzarmi. Metto i
pantaloncini. Ma poi l’amore va via. E io mi sento di nuovo smarrita. Per anni ho chiesto ai
miei genitori di pagare la psicoterapia. Potevano farlo, possono farlo, ma non l’hanno mai
fatto. Quando l’amore va via ricomincio a mangiare.
Siamo nel 2021
Ad oggi vivo da sola. Sono fidanzata con un altro ragazzo e sto cercando di
perdere peso. Continuo ad abbuffarmi e a volte mi sento persa. Mi guardo allo specchio e mi
viene l’ansia. Mi sento brutta e grassa. Ho ripreso a correre e a fare yoga. Ma mi vergogno
se qualcuno mi vede farlo. Non sono guarita. Questa non è ancora una storia a lieto fine. È una
storia travagliata di una persona che sta ancora lottando.
Ma ho capito tante cose.
Ho capito che ho bisogno dell’amore che non ho avuto da bambina. A volte me ne vergogno. Ma è la
verità. E se mi chiudo nel cibo è perché è confortante. Sento di dire però che, per chi ne ha la
possibilità, è giusto e sacrosanto farsi seguire. È giusto parlare e condividere. Ci aiuta a
sentirci meno solə. Può accadere anche di stare male, non bisogna aver paura della sofferenza perchè fa parte di noi. Siamo umani. So che il processo di accettazione è lungo e travagliato. E so anche però che la natura premia i piccoli passi e magari condividerli con gli altri può essere un modo per farne qualcuno in più.
L’articolo è stato scritto da Stefania, che ha raccontato la sua storia