Negli ultimi decenni, l’interesse verso la relazione tra alimentazione e salute mentale si è intensificato, portando alla luce fenomeni quali i cibi fobici o fear foods, e le loro implicazioni psicologiche e fisiologiche. Tra le numerose realtà emergenti, la pasta di Animenta si distingue come un esempio di prodotto alimentare che può assumere un ruolo simbolico e terapeutico in questo contesto.
I cibi fobici: definizione e implicazioni psicologiche
Il termine fear food (cibo fobico) si riferisce a quegli alimenti che, per motivi psicologici o culturali, vengono evitati o temuti da soggetti affetti da disturbi alimentari come l’anoressia nervosa, la bulimia, o altri disturbi di disconforto alimentare. Secondo la letteratura clinica, i fear foods sono spesso associati a componenti simboliche, culturali o corporee che generano ansia e evitamento (Sullivan et al., 2014).
La letteratura suggerisce che i fear foods possano essere suddivisi in categorie, tra cui alimenti ad alto contenuto calorico, grassi, zuccheri, o specifici alimenti considerati “pericolosi” dal punto di vista nutrizionale o simbolico (Dalle Grave et al., 2018). La loro evitamento può instaurare un circolo vizioso di restrizione, ansia e isolamento sociale, complicando il trattamento dei disturbi alimentari.
Dal punto di vista psicobiologico, l’ansia associata ai fear foods può essere attribuita a una disfunzione nel circuito limbico e nell’amigdala, che regolano le risposte di paura e stress (Levine & Pizarro, 2010).
La cultura e il ruolo dei Fear Foods
Le rappresentazioni culturali e sociali contribuiscono significativamente alla formazione dei fear foods. Ad esempio, in molte culture occidentali, cibi ricchi di carboidrati come la pasta sono spesso associati a diete restrittive o a emozioni di colpa, influenzando la percezione soggettiva di questi alimenti (Herman & Polivy, 2017). La stigmatizzazione di determinati cibi può alimentare paure irrazionali, accentuando il fenomeno dei fear foods.
La Pasta di Animenta: un caso di cibo fobico e di riconnessione culturale
Animenta propone una pasta artigianale a base di ingredienti biologici e tradizionali italiani. La sua filosofia si basa sulla promozione di un rapporto consapevole e positivo con il cibo. In alcuni contesti clinici e sociali, la pasta di Animenta è stata utilizzata come strumento di approccio terapeutico per persone con disturbi alimentari.
In questo contesto, la pasta di Animenta può assumere un ruolo simbolico come “cibo di ritorno”, facilitando il processo di desensibilizzazione verso gli fear foods. La sua natura artigianale, associata a valori di autenticità e tradizione, può contribuire a ridurre l’ansia e la paura legate a determinati alimenti, favorendo un rapporto più equilibrato e positivo con il cibo.
Superiamo i Fear Foods insieme
I fear foods rappresentano un importante ambito di studio e intervento nel trattamento dei disturbi alimentari, integrando aspetti psicologici, culturali e biologici. La pasta di Animenta, emerge come un esempio di come il cibo possa essere utilizzato non solo come fonte di nutrimento, ma anche come strumento terapeutico e di riconnessione identitaria. La promozione di un rapporto più consapevole e positivo con gli alimenti, attraverso approcci integrati e culturalmente sensibili, può contribuire significativamente alla salute mentale e al benessere dei soggetti coinvolti.
Bibliografia
– Dalle Grave, R., Bellini, F., & Fabris, R. (2018). *Disturbi del comportamento alimentare: approcci clinici e terapeutici*. Milano: McGraw-Hill Education.
– Herman, C. P., & Polivy, J. (2017). *The psychology of eating: From healthy to disordered behavior*. New York: Routledge.
– Levine, S., & Pizarro, D. (2010). The neurobiology of fear: Implications for treatment of anxiety disorders. *Neuroscience & Biobehavioral Reviews*, 34(8), 1354-1364.
– Sullivan, P., et al. (2014). Fear foods and avoidance behaviors in eating disorders: A systematic review. *International Journal of Eating Disorders*, 47(8), 779-785.
– Vandereycken, W., & Van Hoorick, S. (2012). *The cultural context of eating disorders*. Leuven University Press.
L’articolo è stato scritto da Giovanna, volontaria dell’Associazione




