DCA e mondo del cinema: una difficile combinazione

dca e cinema

Strumento di facile accesso e garante di intrattenimento nelle case di ognuno la tv ha segnato una rivoluzione nell’ambito dell’informazione. A partire dagli anni Novanta, il tema dei DCA è stato via via sempre più affrontato sugli schermi. Interviste a personaggi famosi che hanno raccontato la loro esperienza con la malattia, documentari, film o serie tv: l’intervento sul tema è stato ampio. Ma è definibile “efficace”?

Conoscenza o superficialità?

Facendo riferimento alla filmografia più popolare a riguardo è possibile notare come, sotto moltissimi punti di vista, l’obiettivo dell’inclusione e della rappresentazione mediatica è stato raggiunto. Infatti, molti personaggi affetti da DCA hanno trovato una raffigurazione in numerosi contesti. Andando però più in profondità è evidente la superficialità e la mancata conoscenza che molti di questi programmi hanno sul tema. L’effetto agli occhi dello spettatore è infatti, spesso e volentieri, quello di osservare una scena patinata, romanticizzata e romanticizzante di una malattia. 

Essere troppo espliciti

Nel più recente “Fino all’osso”, film di Marti Noxon del 2017, l’Anoressia Nervosa e i Disturbi Alimentari da cui sono affetti i personaggi (ragazzi ricoverati in una casa di cura specializzata) sono narrati con un approccio che rende anche i sintomi peggiori e più complicati un modello d’ispirazione a cui tendere. Il problema principale di questo lungometraggio è infatti l’enorme riferimento ai più svariati comportamenti disfunzionali messi in atto dagli ospiti della struttura di cura: l’obiettivo della regista era probabilmente quello di informare e diffondere la conoscenza riguardo ai sintomi e ai comportamenti tipici di chi soffre di un DCA, ma allo stesso tempo è possibile che molte persone, soprattutto se già fragili o esposte a problemi con il cibo e l’immagine corporea, abbiano trovato nelle scene del film un modello di comportamento da seguire e attuare nella loro quotidianità. Di frequente il risultato di queste rappresentazioni è quello di ottenere dei “manuali su come diventare malat*”: le rappresentazioni troppo esplicite, crude e concentrate sui comportamenti tipici dei pazienti possono infatti ispirare lo spettatore, specialmente se già fragile, e suggerirgli delle abitudini e delle routine disfunzionali al fine di raggiungere una magrezza tanto agognata.

L’edulcorazione dei DCA

Altri film come “Thinspiration”, “Ragazze interrotte” o “Per amore di Nancy” hanno il pregio di rappresentare sì pazienti affetti da DCA. Purtroppo hanno il difetto di creare una versione della malattia estremamente edulcorata e semplificata, che non esplora in profondità il disagio psico-emotivo di chi ne soffre. Queste rappresentazioni si limitano a rappresentare i sintomi e i comportamenti visibili all’esterno. Inoltre, la maggior parte di questi film non porta con sé un gran varietà di storie. I personaggi sono spesso accomunati da un simile background familiare e sociale, e spesso si può denotare una mancanza di realismo e onestà all’interno delle varie pellicole.

Perché rappresentare i DCA è così complesso?

Nel mondo del cinema rappresentare i DCA è estremamente complesso. Come altre malattie mentali i Disturbi Alimentari sono caratterizzati da un’enorme disagio psichico, che va oltre a ciò che è possibile vedere all’esterno. Questa interiorità, di conseguenza, è complessa da rendere realtà su pellicola. Inoltre, molti dei sintomi dei DCA non sono “esteticamente” affascinanti e attraenti agli occhi dello spettatore, tanto da renderli poco cinematografici. Quando i sintomi vengono rappresesentati nel dettaglio, spesso si incorre nella cosiddetta “pornografia del dolore”: lo spettatore rimane incollato allo schermo a causa di una narrazione estremamente patemica ed empatica della malattia. Così facendo, il dolore di chi soffre viene strumentalizzato per far sì che lo spettatore si immedesimi nel racconto. E sia felice di guardarlo e riguardarlo quante più volte possibile.

Uno sguardo olistico è possibile…

Ovviamente è importante sottolineare che non tutte le produzioni cinematografiche rispecchiano quanto detto. Esistono serie tv o film che sono stati in grado di indagare l’interiorità del disagio psichico ed emotivo provato dai personaggi affetti da DCA, andando oltre l’apparenza dei sintomi e dei comportamenti disfunzionali della malattia. Un esempio di questo tipo di prodotti cinematografici è trovabile nella miniserie Overshadowed, prodotta dalla BCC. Produzioni come questa rappresentano la realtà del soffrire di un Disturbo Alimentare, che supera le apparenze e intacca ogni aspetto della quotidianità delle persone. La malattia influenza la sfera sociale, lavorativa, familiare e amorosa ed è necessario, anzi indispensabile, che il grande schermo tratti questi aspetti in modo completo. Perché una narrazione completa è ciò che permette di conoscere autenticamente la realtà dei DCA.

Il significato di una buona rappresentazione

Rappresentare i Disturbi del Comportamento Alimentare sul grande schermo significa dargli una voce e una rilevanza nuova. Per malattie come queste non può bastare il principio del “bene o male, basta che se ne parli”. Bisogna che esse vengano rappresentate nel modo giusto, veritiero, totale.

Bibliografia

M. Noxon, To the bone- Fino all’osso, 107’, film drammatico, Stati Uniti D’America, 2017

T. Miele, Starving in suburbia o Thinspiration, film drammatico, Stati Uniti D’America, 2014

J. Mangold, Girl, Interrupted, 125’, film drammatico, Stati Uniti D’America, 1999

P. Schneider, For the love of Nancy, 100’, film drammatico, Stati Uniti D’America, 1994

https://www.dazeddigital.com/beauty/article/60670/1/why-is-it-so-hard-to-portray-eating-disorders-on-screen-club-zero-anorexia?amp=1

Contenuto a cura di Federica Merli

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