Al giorno d’oggi sono circa 3 milioni le persone in Italia affette da un disturbo del comportamento alimentare (DCA).
Considerando un numero così elevato, parliamo del 5% della popolazione, si potrebbe rimanere stupiti di fronte al grado di disinformazione in materia, sia da parte di chi ne soffre, sia da parte di chi gli sta vicino .
La mancanza di informazione è pericolosa. Può ostacolare la scelta di chiedere un aiuto professionale, rendendo più insidioso il percorso di guarigione, poiché si manifesta una maggiore resistenza alla cura.
Abbiamo quindi deciso di provare a chiarire alcuni dei falsi miti sui DCA.
Per guarire è sufficiente la forza di volontà
Al fine di spiegare questo punto, cito il webinar tenuto dalla dottoressa Rosaria Nocito, trasmesso in diretta streaming dall’equipe del Centro Disturbi dell’Alimentazione (CIPda) di Milano.
Quante volte chi soffre di disturbi del comportamento alimentare (DCA) si è sentito dire che per guarire basterebbero solamente impegno e forza di volontà? Molte, troppe volte. Questo tipo di falso incoraggiamento non fa altro che suscitare sensi di colpa in chi in quel momento non sta bene, oltre a ritardare la richiesta di aiuto ai professionisti.
“In che modo la credenza di farcela da soli ostacola il percorso di cura?”
Questa è una domanda posta alla Dott.ssa Martina Tramontano, psicoterapeuta, che spiega come i DCA siano caratterizzati da una natura egosintonica dei sintomi.
Ciò vuol dire che le persone che presentano tali sintomi non si riconoscono come malate, ma trovano nel controllo del cibo e del corpo una sorta di soluzione ai propri problemi. In questo modo i pazienti si sentono forti e sicuri al punto tale da credere di poter smettere di controllarsi quando vogliono.
Necessaria, ma non sufficiente
E infatti quand’è che si arriva a chiedere aiuto nella maggior parte dei casi? Quando la situazione è degenerata, fuori controllo e anziché essere forti e potenti ci si riscopre come gli esseri più fragili dell’universo.
Alcune volte, la credenza di potercela fare da soli è sostenuta dai familiari. La credenza comune è che il disturbo sia auto-provocato. Per questo motivo è importante informare, oltre che chiedere aiuto a dei professionisti.
La forza di volontà è, quindi, condizione necessaria ma non sufficiente per guarire da un disturbo alimentare.
Questo perché, se da un lato è vero che è il singolo a doversi impegnare per la propria guarigione, dall’altro non si può ridurre tutto ad una questione di “motivazione” o “determinazione”.
Non è solo questo. C’è un lavoro più profondo da fare.
Tra l’altro, parlando in particolare di anoressia, di certo ciò che non manca è la forza di volontà.
Resistere alla fame richiede un’enorme forza di volontà. Così come tutte le ore trascorse a fare attività fisica. La determinazione, in questo caso c’è, solo che è canalizzata verso un qualcosa di disfunzionale.
I disturbi alimentari sono capricci
In secondo luogo, nel medesimo webinar, la Dott.ssa Nocito chiede alla Dott.ssa Ranzini, psicoterapeuta, di spiegare come i DCA non siano capricci e quali siano i meccanismi che li conservano.
La psicoterapeuta sostiene che i DCA siano delle patologie con specifici meccanismi di mantenimento, poiché questo tipo di sintomo ha come nucleo psicopatologico un eccessivo controllo del peso. Ad esempio, la diminuzione del peso corporeo, vissuta come una conquista, viene perseguita tramite una dieta molto rigida, che si connota come ferrea ed inflessibile. Se sono presenti abbuffate, anch’esse producono l’intensificarsi della restrizione. Inoltre, i comportamenti di restrizione rendono più probabile il verificarsi dell’abbuffata.
Infine, i conseguenti sintomi da malnutrizione contribuiscono al perpetuarsi della patologia.
In che modo? Isolamento sociale e depressione impediscono alla persona di avere altri parametri, oltre al proprio corpo, con cui valutarsi. Inoltre, una precoce sensazione di pienezza induce la persona a concludere di aver consumato troppo cibo, così da facilitare una restrizione alimentare. E in più il rallentamento della perdita di peso, provocato dal rallentamento metabolico, viene esperito come un segnale di perdita di controllo e stimolo per un’aumentata restrizione alimentare.
Tutti questi segnali fanno capire come i DCA non siano affatto capricci, ma siano invece sostenuti da un sistema complesso, ma non impossibile da scardinare.
Solo le donne soffrono di DCA
Questa è una credenza molto diffusa. Si pensa infatti che solo le ragazze giovani soffrano di questa patologia.
Ma la realtà è ben diversa: come viene detto nel secondo webinar dalla Dott.ssa Riboldi, psichiatra, recenti studi hanno dimostrato come circa il 20-25% della popolazione affetta da DCA sia di sesso maschile.
Inoltre, questi disturbi non hanno età. Nella maggior parte dei casi l’esordio avviene in età adolescenziale, ma non è sempre così.
Non esiste, dunque, un’età in cui i DCA non possano manifestarsi. Né si può affermare che tali patologie colpiscono solo la popolazione femminile.
Chi soffre di DCA è sottopeso e restringe la propria alimentazione
Come viene illustrato in un reel della pagina Instagram “eatingrecovery“, anche chi soffre di patologie come l’anoressia atipica non è detto che, seppur sottopeso, presenti un peso eccessivamente basso. Così come non è vero che tutti coloro che sono affetti da queste patologie restringano la propria alimentazione.
Ci sono infatti persone che, nonostante abbiano un DCA, non hanno subito una modifica nella propria dieta quotidiana. O non presentano una significativa variazione di peso. Si può essere normopeso ed soffrire di un disturbo alimentare. Allo stesso modo, non tutti sono ossessionati dall’esercizio fisico, ovvero non lo praticano in modo compulsivo.
I disturbi alimentari non sono disturbi riguardanti unicamente cibo, peso e corpo. Sono malattie mentali, e come tali vanno curate a prescindere dal peso o dal BMI del paziente.
La variazione di peso è solo una delle conseguenze dello sviluppo di un DCA.
Ragionare solo in termini di peso è riduttivo e profondamente errato. Una persona che che “pesa ancora troppo” per essere presa in carico e curata in un centro, potrebbe pensare di dover dimagrire ancora. Questo è un incentivo disfunzionale a peggiorare una condizione già verosimilmente instabile. O ancora pensare che guarire significhi solo riacquistare un po’ di peso è fuorviante.
Chi soffre di disturbi alimentari ha una diagnosi
Chiunque sia ammalato, di qualsiasi patologia, dovrebbe avere il diritto di cura.
Nel caso di disturbi del comportamento alimentare, molte persone non ricevono una diagnosi pur soffrendone.
Perchè accade questo? Le motivazioni possono essere varie.
A volte le persone non sono consapevoli della situazione in cui si trovano e quindi non chiedono aiuto; oppure hanno paura di chiederlo. Magari le cure sono troppo costose e/o ci sono liste d’attesa interminabili anche solo per una prima visita. O magari chiedono aiuto, ma a professionisti non adeguatamente formati per il trattamento di queste malattie. Magari si recano da un medico e vedono la loro condizione non riconosciuta, con frasi del tipo “Vedrà che passerà, è una fase adolescenziale” o “Non fare i capricci, ormai sei grande”. È capitato che il fatto di essere un uomo ostacolasse la formulazione di una diagnosi. Tutto questo a seguito dei pregiudizi descritti in precedenza. E intanto la malattia ai aggrava.
Chiedere e ricevere aiuto
Sono purtroppo ancora molto diffusi i falsi miti che riguardano queste malattie. Ed è qui che entra in campo l’importanza di informare e sensibilizzare le persone.
E questo si lega indissolubilmente all’importanza di chiedere aiuto. Farsi aiutare non significa essere deboli. Significa avere consapevolezza del proprio malessere e adoperarsi perché si vuole stare bene.
Attraverso le storie di chi ne ha sofferto, attraverso le esperienze di chi lo ha vissuto indirettamente (genitori, fratelli o sorelle, amici, partner) è possibile raccontare la realtà, la vita vera, e creare una nuova consapevolezza intorno a queste tematiche.