Disturbo evitante-restrittivo: il lato nascosto dei DCA

disturbo evitante-restrittivo

Il disturbo evitante-restrittivo rientra nella macro categoria dei disturbi alimentari e nonostante non sia molto conosciuto recenti ricerche mostrano che questo è uno dei DCA che si manifesta con maggiore frequenza.

Quando si parla dei disturbi del comportamento alimentare la maggior parte delle persone tende a ricordare maggiormente l’anoressia e la bulimia, e occasionalmente anche il binge eating, il disturbo da alimentazione incontrollata, la cui percentuale di crescita è drasticamente cresciuta con l’avvenire dell’era moderna. In realtà, la lista non si ferma affatto qui: pur essendo meno conosciuti, la categoria si compone di altri quattro disturbi alimentari.

In questo articolo ci soffermeremo su quello che per frequenza, dopo l’anoressia, la bulimia, e il binge eating, tende a manifestarsi maggiormente tra le persone, il Disturbo restrittivo-evitante dell’assunzione del cibo (ARFID).

Che cos’è il disturbo restrittivo-evitante?

Nel DSM-IV, il manuale statistico e diagnostico dei disordini mentali, il disturbo restrittivo-evitante era classificato come “disturbo della nutrizione e dell’alimentazione dell’infanzia e della prima infanzia” perché caratterizzato compariva principalmente dai 0 ai 12 anni.

Nel 2013, con la nuova edizione del manuale, si assiste ad un aggiornamento: nel DSM-V si assiste infatti alla fusione tra il gruppo dei “disturbi dell’infanzia” (ARFID) e quello dei “disturbi legati all’alimentazione”, che ad oggi sono raggruppati sotto un’unica voce, “Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione”, in cui troviamo, oltre ARFID, il disturbo della ruminazione e la pica.

Ora l’ARFID non è più limitato ad un periodo della vita, ma può essere diagnosticato anche in età adulta senza distinzione tra femmine e maschi: rispetto ad anoressia e bulimia che tendono a manifestarsi rispettivamente in proporzione 15:1 e 30:1 l’ARFID colpisce allo stesso modo entrambi i sessi.

Le caratteristiche

Il disturbo evitante-restrittivo si caratterizza dalla resistenza che il soggetti oppone nell’assumere quantità di cibo adeguate alla sua età e al suo fabbisogno metabolico, fino a manifestare rifiuto per determinate categorie di alimenti.

Tenderà, quindi, a scansare tutti quei cibi che non lo soddisferanno per consistenza, forma, odore, colore, e tutti quelli che per lui provocherebbero conseguenze negative nel mangiarli, come ad esempio paura del soffocamento, senso di vomito, ripercussioni negative sul proprio corpo.

I criteri di diagnosi

I criteri necessari per diagnosticare l’ARFID sono: progressiva perdita di peso, carenze nutrizionali, anemia, astenia, problemi renali e cardiocircolatori,conseguenze psico-sociali.

Secondo studi scientifici, l’insorgenza del disturbo è legata in particolare alla presenza di conflitti tra il soggetto e i propri genitori: è di fatto appurata l’importanza che assume una sana relazione genitori-figli nello sviluppo protettivo e sano del bambino, e di quanto una sua mancanza possa determinare stati di insicurezza e ansia con il passare del tempo.

In tenera età è più che normale evitare alcuni alimenti, per questo motivo sarebbe opportuno limitare di mostrare irritazione o frustrazione verso questi comportamenti. Invece di indagare sulle cause e di cercare di essere comprensivi verso il loro piccolo, la maggior parte dei genitori si sente estremamente disorientata e impaurita nel vedere che il loro figlio non mangia quanto dovrebbe.

È indispensabile evitare un atteggiamento pressorio, e scongiurare usi impropri  del cibo con frasi minacciose per convincere i propri figli a mangiare, come ad esempio “se non mangi ci farai arrabbiare” oppure “se non finisci tutto non ti portiamo a giocare al parco”.

Osservare gli atteggiamenti è fondamentale

È bene porre molta attenzione ai comportamenti dei propri figli sin da piccolissimi e, nel caso di riconoscimento di tale disturbo, intervenire il prima possibile attraverso una terapia cognitivo-comportamentale, che si rivela ad oggi la soluzione migliore per la guarigione da disturbo restrittivo evitante.

Questo articolo nasce da esperienze passate, da rapporti con i genitori che non hanno aiuto i propri figli. E quindi, per finire, non limitiamoci a classificare l’evitamento del cibo come un semplice capriccio, perché nel momento in cui il bambino mostra alterazioni di uno dei suoi principali canali comunicativi, ossia quello del rapporto col cibo, significa che qualcosa in lui non sta evolvendo come dovrebbe.

Facciamoci caso e interveniamo il prima possibile, potremmo evitare molti problemi ai futuri adulti che saranno.

-L’articolo è a cura di Eleonora Peluso, personal trainer con una passione per il mondo dell’alimentazione e del benessere personale.

Contenuto a cura di Eleonora Peluso

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