(Spoiler: no, o meglio non è lì che bisogna porre solo la nostra attenzione quando parliamo di disturbi alimentari)
Mentre penso a come iniziare per raccontare la mia storia, vengo assalita da un sacco di dubbi e paranoie.
“E se non fosse abbastanza interessante?”.
“Probabilmente sarò noiosa e scontata”.
“in fondo non è una storia così speciale.”
Nella mia testa iniziano a impiantarsi tutti questi pensieri e senza accorgermene mi ritrovo a mangiare un biscotto.
Il trigger
Quello che sta per succedere lo so già benissimo. Il biscotto diventerà tutto il pacco, poi continuerò con varie cose in base a quello che c’è nella dispensa.
Ho sempre creduto che il problema fossero i biscotti, che fosse il biscotto ad aprire quella voragine incontrollabile, per questo decisi di eliminarli completamente.
Allora mi sono fermata. Mi sono chiesta “Che ti ha fatto il biscotto?”. In fondo sono io che lo sono andata a cercare. Quasi come una drogata in astinenza. Quel biscotto mi avrebbe aiutato per un minuto a soffocare quell’inquietudine, quei pensieri che mi stavano ballando in testa.
Puoi immaginare allora un intero pacco di biscotti! Avrebbe scacciato tutto per almeno 15 minuti, così poi il focus si sarebbe spostato dalla mia testa al mio stomaco dolorante.
Passati quei 15 minuti mi sarei poi focalizzata sul senso di colpa e su come autopunirmi.
Dunque non avrei dovuto affrontare tutti quei pensieri.
Mi sono fermata dopo il primo a biscotto. Perché non è lui il problema.
Il problema è quella maledetta insicurezza e senso di inadeguatezza che sento ogni qualvolta devo mettermi alla prova.
Il biscotto è lì solo per consolazione, per colmare quel vuoto, per riempire quella fossa che mi sono scavata dentro usando l’insicurezza come pala.
Insicurezza.
Questa parola cerco di non nominarla mai. Non l’ho mai ammesso.
Non l’ho mai ammesso a me stessa di essere insicura. Forse perché ho sempre associato l’insicurezza alla debolezza, e si sa, la debolezza è definita come qualcosa di negativo. Nessuno vorrebbe che la propria persona fosse definita debole, tantomeno io. Per questo ho sempre cercato di avere una buona forma fisica, evitando la maggior parte di fear food, così da non ingrassare. Perché avere una buona forma fisica mi avrebbe dato più sicurezza. Così mi sono sempre autosomministrata diete improbabili, in modo da avere il controllo sul mio corpo, sulla mente, sui sentimenti e sulle emozioni. Proprio come farebbe una persona sicura e decisa, che non lascia nulla al caso.
In questa ricerca smaniosa del controllo e della sicurezza in me, ho perso completamente la rotta, ho perso totalmente il controllo. Mi sono creata questa idea utopica in cui avrei raggiunto la me sicura solo una volta che avrei avuto una forma fisica giusta, seguendo sempre la dieta e facendo attività fisica costantemente, senza mollare un solo giorno. Questa era la me sicura che volevo. Ed ogni volta che sgarravo un minimo e non mantenevo questo altissimo standard di prestazione quotidiana, nella mia testa fallivo. Ogni piccola sbavatura consisteva in un fallimento totale ed ogni fallimento non faceva altro che alimentare l’insicurezza.
Entrai in un circolo vizioso terribile, dove o esisteva la perfezione o esisteva il fallimento. O bianco o nero. O la me sicura e determinata o la me debole e insicura.
Debolezza.
Avrei voluto raccontare una storia di ispirazione, e scrivere come ho trovato la sicurezza in me, la forza di uscire dal vortice, ma non ci sono ancora arrivata perché oggi è la prima volta che ammetto a me stessa di essere terribilmente insicura. E mentre me lo dico scende una lacrima, e per la prima volta mi viene voglia di abbracciarmi e chiedermi scusa per tutte le volte che mi sono punita, che non mi sono capita, che mi sono allontanata da me per pensare di piacere di più agli altri, e provare a soffocare quella insicurezza senza provare a capirla e a farci pace.
In una società che ci vuole perfetti, sempre al top, sempre belli, in forma, allegri e pieni di vita, la debolezza e l’insicurezza non sono contemplate.
Allora l’unica cosa con cui sedare questa sensazione sembra il cibo, perché lui è l’unico che non ti può giudicare, che per quella mezz’ora, o ora, placa questo stato d’animo, e ti capisce, ti comprende, ti consola, ti riempie. C’è. Quasi come se fosse un amico. Un amico al quale puoi dire di avere un problema, perché dire ad un’altra persona che cedi in maniera incontrollata al cibo sarebbe come ammettere ulteriormente la propria debolezza.
Tuffarsi per non affogare
In questo momento dove i pensieri scorrono senza sosta, non è cambiato nulla, ma è cambiato tutto. Perché in questo vortice dove sembra non esserci una fine, mi sono buttata dalla barca, ovvero il solito mio modo di pensare e di agire, per tuffarmi in mare, che sicuramente mi espone di più, e per cui molto probabilmente sarò costretta a chiedere aiuto per non affogare, ma è l’unico modo per raggiungere la riva.
Ho preso il pacco di biscotti e l’ho messo via, perché il problema non è il cibo, i biscotti, la cioccolata o i cereali. Non sono loro le armi con cui combattere il mostro che abbiamo dentro.
La sincerità e l’amore proprio sono i giusti mezzi.
E crederci. Crederci fino alla fine perché la vita che meritiamo è ad un passo oltre le nostre insicurezze.
Riflessione di Sofia Pazzini sul ruolo del cibo