Ero davvero una buona forchetta, amavo il cibo e quello che una tavola imbandita trasmetteva. Che ero una buona forchetta me lo dice sempre mia nonna, me lo dice ancora oggi quando prepara la pasta fatta in casa e io non riesco a mangiarla.
Ero una buona forchetta e, quando si pensava al cibo, usciva sempre fuori il mio nome. Ero la prima ad organizzare cene e feste, a casa mia, a casa di amici o al ristorante.
Perché alla fine, se ci pensate bene, il cibo non è mai solo cibo, non serve solo a dare sostegno al nostro corpo. Il cibo è qualcosa di più, è un momento di convivialità, è una scusa per uscire dall’ordinario, è una scusa per andare “in pausa pranzo” e lamentarsi di quel nuovo collega un po’ troppo perfettino.
Il cibo è sempre stato un mezzo per comunicare qualcosa. Per l’anniversario, si va a cena fuori. Per il compleanno si offre da bere o da mangiare agli amici. Si organizza un aperitivo per rivedere amici lontani. Per non parlare poi di quando si va in un’altra città, migliaia di messaggi mandati ad amici e parenti per scoprire i ristoranti più buoni di quella città.
Il cibo è tradizione, è il pacco della famiglia che arriva dal Sud, è molto più delle calorie che contiamo.
Con l’anoressia tutto è cambiato.
Perché io ero davvero una buona forchetta. Ma in fondo chi non lo è?
L’anoressia ha cambiato radicalmente il mio rapporto con il cibo. Molto spesso mi viene l’ansia al solo pensiero di dover mangiare al ristorante perché mi domando: ” E se non c’è nulla che posso mangiare?”
Che poi io posso mangiare tutto. Forse sarebbe meglio cambiare la domanda: “E se non c’è nulla che voglio mangiare?”.
(non) è solo questione di volontà
È tutta una questione di volontà. O almeno, questo è quello che mi hanno sempre detto, ma che io non ho mai capito.
Ma c’entra davvero solo la volontà?
Vedete, un disturbo alimentare va ben oltre la forza di volontà. È un qualcosa che si annida nel profondo della tua anima e che permea ogni parte del tuo corpo, ogni momento della tua giornata. Un disturbo alimentare cambia le dinamiche relazionali e familiari. Perché è davvero difficile provare a relazionarsi con qualcuno che soffre di un DCA.
Ma tu ragazza/o questo non lo sai quando conti ogni grammo, quando nascondi il cibo, quando lasci che il cibo abbia la meglio su di te. Non ti rendi conto davvero di quello che sta accadendo e dell’effetto che ciò potrebbe avere sulle persone che ti circondano. È solo un momento, dici a te stessa. Domani sarà diverso, ripeti. Poi il domani arriva e non è cambiato nulla.
Eppure c’è un momento in cui decidi. E io ho deciso di prendermi per mano e di rimettermi in piedi.
Avevo 16 anni allora.
Oggi ne ho 22, combatto ancora contro mostri e paure, ma vinco io.