Esistere e basta: vivere in un corpo grasso

esistere e basta: vivere in un corpo grasso

Vivere in un corpo grasso significa, molto spesso, dover dimostrare costantemente di meritare lo spazio occupato. A volte basta uscire di casa, sedersi in un mezzo pubblico, fare una visita medica o persino mangiare in compagnia perché qualcun* si senta autorizzato a valutare ciò che fai, come appari, cosa  “dovresti” cambiare.  

È una pressione che può diventare violenta: lo sguardo degli altri, il giudizio, il pietismo travestito da preoccupazione per la “salute”.  

Abitare un corpo grasso, oggi, significa fare i conti con una serie di ostacoli quotidiani che non hanno nulla a che vedere con la salute, ma con la cultura in cui viviamo. Significa sapere che il tuo corpo verrà spesso giudicato come troppo visibile, troppo presente, troppo ingombrante. Non importa quanto tu sia gentile, competente, divertente, brillante… il peso diventa la prima cosa che gli altri vedono e la lente attraverso cui filtrano tutto il resto.  

“Qui, per te, non c’è posto”: l’esclusione del corpo grasso

La discriminazione non arriva solo dalle battute esplicite o dagli insulti (che  sono già di troppo) ma anche da micro-ingiustizie sistemiche che si ripetono ogni giorno. Sedie senza braccioli impossibili da trovare. Negozi senza taglie adatte. Commenti non richiesti su cosa mangi. Sguardi che ti analizzano come se stessi occupando uno spazio che non ti appartiene.  

Nel libro Belle di Faccia, Morgana e Marella spiegano: “Siamo cresciut* imparando che solo le persone magre fossero accettabili e che ci fosse solo un tipo  di corpo considerato valido, perché era l’unico protagonista dal cinema alla tv passando per le riviste, ed è giunto il momento di cambiare”. Ogni passo fuori casa  può significare fare i conti con quanto il mondo sia progettato per corpi diversi dal  tuo.  

E tutto questo ha un peso reale, psicologico ed emotivo. Non è “ipersensibilità”: è vivere sapendo che il tuo corpo è politicamente esposto, culturalmente giudicato e socialmente controllato. Significa entrare in una stanza e avere la sensazione di dover giustificare la tua esistenza prima ancora di parlare.  

E per chi vive un disturbo alimentare in un corpo grasso, questa pressione  raddoppia: da un lato la fatica interna, dall’altro un mondo che ti chiede costantemente di essere “meno”.  

“Lo dico per il tuo bene” 

La grassofobia non si ferma alla vita quotidiana: si infila nei discorsi, nelle  relazioni, nei momenti in cui dovresti sentirti al sicuro. Basta sedersi a tavola (non importa se hai davanti un’insalata o un dolce) perché qualcun* si senta  autorizzato a commentare, trasformando il tuo piatto in un giudizio sulla tua moralità.  

E le etichette arrivano ancora prima che tu apra bocca. Se sei stanc* “sei  pigro”, se sei triste “devi dimagrire”, se hai dolore “è il peso”. Ogni emozione e ogni comportamento vengono reinterpretati partendo dal corpo, come se il peso fosse l’unica spiegazione possibile per tutto ciò che vivi.  

Questo non è affetto. È controllo travestito da premura. Quelle frasi tipo “Lo  dico per il tuo bene” significano sempre la stessa cosa: tu così non vai bene.  

“E alla salute non ci pensi?”: parliamo di salute del corpo grasso

La società ha trasformato il corpo grasso in un simbolo da correggere. Il linguaggio più comune è quello del “lo dico per il tuo bene”, “almeno fallo per la tua  salute”, che però non porta a niente di buono dentro. È pietismo. È controllare, non aiutare.  

Questo atteggiamento purtroppo influenza anche il giudizio del personale medico: si parla di medical fat bias. Come ogni pregiudizio, non è salutare né per l* medic*, che tenderà a non approfondire la situazione clinica del* paziente né per quest’ultimo, che perderà fiducia nella medicina.  

Ricordiamo che la salute è un diritto e non un dovere, e ognun* merita ascolto non giudicante e cura a prescindere dallo stato di salute, genere, etnia, orientamento sessuale e forma del proprio corpo.  

Queste ingiustizie feriscono. Invalidano. Possono ritardare la diagnosi, scoraggiare le richieste d’aiuto, aumentare la vergogna. Incentivano l’insorgenza o il mantenimento di un DCA, patologia che può esistere in qualsiasi corpo. Un  corpo grasso non è automaticamente conseguenza di un comportamento  sbagliato, così come un corpo magro non è automaticamente sano. Questa è fisiologia di base, non opinione.

Guida alla resistenza guardando oltre il peso 

Quello che hai letto è solo una parte di una realtà molto più ampia. La  grassofobia non nasce nelle singole persone, ma dentro un sistema che costruisce gerarchie tra i corpi e decide quali meritano rispetto e quali no. È una discriminazione strutturale, che attraversa media, scuola, famiglia, medicina e linguaggio. Nessuno può smontarla da sol*, e soprattutto non spetta a chi la  subisce portarne il peso.

Approfondire aiuta a capire che non sei tu a essere “sbagliat*”: è il contesto a essere distorto.

Approfondire pur non appartenendo alla categoria, riconoscere i propri privilegi, significa scegliere di diventare alleat*, combattere le discriminazioni, evitando di alimentarle. Libri come Belle di Faccia (Morgana e  Marella) e Fat Shame (Amy Erdman Farrell) raccontano bene come siamo arrivati fin qui e perché la narrazione dominante sul peso non è neutra, né scientifica, né innocua.  

E mentre il sistema cambia troppo lentamente, ci si può proteggere. Circondarsi di linguaggi non giudicanti, professionist* che lavorano fuori dalla  logica della colpa (HEAS), comunità che non riducono il tuo corpo a un progetto da correggere, modificare il proprio algoritmo social.  

Ricorda che nessuna discriminazione definisce chi sei, e che il modo in cui il mondo ti guarda non è una misura del tuo valore.  

Bibliografia  

  • Morgana & Marella (2021). Belle di Faccia. Milano: Edizioni Sonda.  – Farrell, A. E. (2020). Fat shame. Lo stigma del corpo grasso. Italia: Tlon.
  • Udo, T., Purcell, K., & Grilo, C. M. (2016). Perceived weight discrimination  and chronic medical conditions in adults with overweight and obesity.  International journal of clinical practice, 70(12), 1003-1011.  
  • Sutin, A. R., Stephan, Y., & Terracciano, A. (2015). Weight discrimination  and risk of mortality. Psychological science, 26(11), 1803-1811.  
  • Puhl, R., & Suh, Y. (2015). Health consequences of weight stigma:  implications for obesity prevention and treatment. Current obesity reports, 4(2),  182-190.  
  • https://www.researchgate.net/publication/329939779_Recognizing_the_Fundamental_Right_to_be_Fat_A_Weight-Inclusive_Approach_to_Size_Acceptance_and_Healing_From_Sizeism

L’articolo è stato scritto da Ivana, volontaria dell’Associazione

Contenuto a cura di Animenta

PASTA DI SEMOLA DI GRANO DURO LUCANO

Rasckatielli

Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

Tracce di Glutine.

Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

306,5 kcal
1302 kj

Proteine

13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
Zona Mercato 85038 Senise (PZ)
P.Iva 01779910767