Soffrire di Disturbi Alimentari (DCA) implica una sofferenza che permea molti aspetti della vita quotidiana: in primis, l’alimentazione, ma anche la socialità, la concentrazione e l’abilità di fare sport e attività fisica. Per molte tipologie di Disturbi Alimentari l’attività fisica diventa infatti una modalità di compensazione per i pasti e le calorie assunte: lo sport non è libero o svolto per una personale volontà di movimento, ma dettato dalla voce del Disturbo Alimentare. Diventa un’ossessione, un obbligo, un’imposizione dall’alto della malattia.
Come si può gestire il confronto con gli altri corpi in una situazione di sport e di DCA? E’ possibile riprendere a fare attività fisica senza sviluppare un’ossessione? Come può un allenatore creare un ambiente inclusivo e salutare per coloro che riprendono a fare sport dopo un periodo di malattia?
L’insoddisfazione corporea e il confronto
Il rapporto con il proprio corpo è un tema complesso, che si sviluppa all’interno della storia personale e sociale. Può capitare a tutti di non vedersi bene fisicamente e di giudicarsi, indipendentemente dal proprio peso o dalla propria forma fisica. Sentirsi grassi, per esempio, è una percezione soggettiva che può essere influenzata da molti fattori, come la cultura, le pressioni sociali, le esperienze passate, l’autostima, lo stato emotivo del momento. Questa percezione personale può sfociare, quando accentuata al massimo, in quello che è definito “dismorfismo corporeo”, il quale è molto diffuso in coloro che sviluppano un Disturbo Alimentare. I mass media spesso influenzano l’insoddisfazione verso il proprio corpo, in quanto sono diffusori di ideali di magrezza irraggiungibili e rispetto ai quali il confronto con sé stessi non può che essere negativo.
L’insoddisfazione corporea può essere una spinta a prendersi cura di sé (ed essere quindi una cosa positiva): quando però questo aspetto può diventare un problema?
L’insoddisfazione corporea inizia ad essere qualcosa di significativo quando diventa un elemento centrale per regolare la propria autostima e produce un senso di disagio marcato e persistente per la persona. In questi casi si può arrivare a pensare continuamente alla propria insoddisfazione corporea, arrivando a dedicare ogni attività della giornata al controllo del proprio peso o forma (allenamento/diete), rinunciando a dimensioni piacevoli della propria vita.
Il confronto con gli altri nello sport
In ambito sportivo il nostro corpo è spesso messo accanto ad altri corpi: in soggetti già fragili e insicuri, è normale che si inneschi la dinamica del confronto, la quale rafforza il senso di inferiorità e il disprezzo di sè. Cosa fare quindi? E’ importante ricordarsi che ogni corpo è unico e che non esiste un corpo perfetto che risponda agli ideali di bellezza vigenti. Bisogna osservare anche la frequenza e l’intensità del senso di insicurezza che si prova rispetto a se stessi: se questo sentimento diventa opprimente e iniziamo a sentirci sopraffatti dalla sua presenza e dai pensieri ad esso legati, è meglio iniziare a pensare di contattare un professionista per poterne parlare. Essere aiutati è infatti molto importante per poter andare oltre alla sensazione di inferiorità provata nel momento del confronto degli altri.
Lo sport senza ossessione: è possibile?
Quando si parla di esercizio fisico eccessivo e compulsivo si sta parlando di una relazione con lo sport negativa e dannosa per la salute. Quando una persona arriva ad allenarsi troppo in termini di durata, frequenza e intensità, al punto tale da mettere a rischio la propria salute, lo sport si trasforma in qualcosa di estremamente pericolo.
Come riconoscere questa trasformazione?
- Lo sport inizia ad avere la funzione principale di controllare peso e forma corporea, o modulare le emozioni, in particolare l’ansia e la rabbia
- Lo sport è associato al senso soggettivo di essere obbligati o spinti a esercitarsi
- L’attività fisica ha la priorità rispetto alle altre attività della giornata (es. uscite con amici, studio…)
- Lo sport viene associato a sensi di colpa e ansia quando è rimandato
Visto lo stretto legame che lo sport ha con la forma fisica e la salute mentale è meglio evitarlo se si ha o se si è avuto un disturbo alimentare? Assolutamente no: lo sport può essere una risorsa molto utile e valida, purché non assuma le caratteristiche sopracitate.
Come ci si può proteggere dal rischio di esercizio fisico eccessivo e compulsivo?
- Coltivare la motivazione intrinseca: cercare un’attività che ci faccia divertire in quanto tale (e non faccia semplicemente sentire meno in colpa/giusti) e non per le conseguenze che ha (es. forma fisica, peso). Per esempio, usarla come un’opportunità sociale di condivisione.
- Darsi obiettivi di processo, non di risultato, evitando che assecondi un’eventuale tendenza al perfezionismo (mi alleno per il piacere di allenarmi e imparare qualcosa in più, non per diventare la più brava)
- Seguire le indicazioni degli allenatori/personal trainer, rispettando anche il recupero proposto
- Coltivare altre passioni e interessi, in modo da avere altre dimensioni gratificanti a sostegno della propria autostima
- Farsi accompagnare nel passaggio allo sport da uno psicologo, in modo da avere uno spazio per osservare insieme emozioni, sensazioni corporee e pensieri
Come creare un ambiente accogliente per chi soffre di Disturbi Alimentari: cosa fare?
Il tema dell’ambiente in cui lo sport viene praticato è sempre più importante, perché si è visto che nella popolazione sportiva la prevalenza di disturbi alimentari è maggiore che tra i non sportivi. Inoltre, allenatori e personal trainer sono tra le figure che hanno più occasioni di cogliere dei campanelli d’allarme e favorire prevenzione e interventi terapeutici precoci.
Cosa fare?
- Coinvolgere uno specialista per formarsi e poter individuare precocemente campanelli d’allarme
- Essere di supporto ed empatici nei confronti dei propri allievi, ponendo l’accento su emozioni, pensieri e sensazioni degli allievi più che sulle proprie o altrui aspettative
- Preoccuparsi in generale di come sta la persona e di come viva gli allenamenti, non del suo peso/forma
- Ritagliarsi dei momenti specifici e privati per confrontarsi sull’andamento del percorso, enfatizzando la dimensione del piacere e della gratificazione e non solo la prestazione e il risultato
- Sottolineare l’importanza di una buona alimentazione a lungo termine per la salute, anziché proporlo come strumento per risultati estetici e di approvazione sociale
- Fornire informazioni sui disturbi alimentari
Cosa non fare?
- Se si sospetta che un allievo soffra di Disturbi Alimentari, non chiedergli di lasciare lo sport o la squadra, a meno che non lo prescriva uno specialista
- Non raccomandare aumenti o perdite di peso
- Non giudicare la fisicità, pesare o misurare davanti ad altre persone (anche compagni di squadra) i propri allievi
- Non trattare gli allievi con sospetto Disturbo Alimentare in modo diverso dagli altri della squadra
- Non parlare di potenziali problemi alimentari di allievi con personale non specializzato
- Non veicolare pretese su temi di peso/forma corporei, non pretendere che l’allievo risolva eventuali problemi alimentari con la forza di volontà
- Evitare commenti e battute su temi alimentari e corporei
Queste linee guida possono essere un buon punto di partenza per orientarsi: in caso di dubbi, ogni allenatore o personal trainer può coinvolgere uno psicologo specializzato sul tema dei DCA che possa fornire indicazioni più specifiche e collaborare nella cura degli allievi. Il ruolo dei professionisti può essere di fondamentale importanza per provare a riscrivere le regole di un mondo che molto spesso ha avuto in passato un’enorme attenzione all’aspetto fisico e alla performance piuttosto che alla salute fisica e mentale degli atleti.
Bibliografia
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