I Disturbi Alimentari tra passato e futuro: dati ed esperienze

La notte tra il 20 e il 21 Dicembre è cambiato qualcosa.

È stato votato al Senato un emendamento in materia di Disturbi della Nutrizione e della Alimentazione.

Lo annuncia in un tweet la Sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento e Senatrice PD, Caterina Bini, impegnata a seguire i lavori della Commissione. «Un grande risultato di cui sono felice e allo stesso tempo commossa. Quattromila morti l’anno, dieci al giorno sono un numero che fa venire i brividi. Speriamo sia solo l’inizio di un cammino migliore»

Le novità più importanti sono due

–     La prima: è stato istituito presso il Ministero della Salute il “Fondo per il contrasto dei Disturbi della Nutrizione e della Alimentazione”, con dotazione di 15 milioni di euro per il 2022 e 10 milioni per il 2023. Al finanziamento possono accedere tutte le regioni. Una decisione che potrà aiutare molte famiglie che affrontano questo problema e che a volte non trovano risposte nel Servizio Pubblico.

–   L’altra notizia importante è che i disturbi alimentari verranno riconosciuti in una categoria a sé stante nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), con un budget autonomo rispetto a quello destinato alla cura delle patologie psichiatriche. E questo amplierà le possibilità di erogare prestazioni e servizi gratuiti (o dietro pagamento di un ticket) attraverso il Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

Cosa sono i LEA?

I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) sono le prestazioni e i servizi che il SSN è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di piccola quota (ticket). Questo perché tutte le spese verranno pagate con le risorse pubbliche.

Cosa cambia?

Questo è un primo passaggio che ci consente davvero di iniziare a portare nell’Agenda Politica, in modo strutturato, il tema dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA).

Riservare ai DCA un posto separato nei LEA significa riconoscere finalmente la loro dignità di malattia. Significa considerare anche la sofferenza mentale come criterio principale di presa in carico. Significa avere il diritto a cure adeguate e  facilmente accessibili sul territorio.  A livello pratico ciò implicherà che tutti i distretti di Salute Mentale delle regioni dovranno dotarsi di servizi specializzati nella cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare (ambulatori, reparti ospedalieri e centri dedicati) al fine di erogare prestazioni gratuite finalizzate ad una presa in carico integrata. 

E quindi nessuno dovrà più sentirsi dire: “Non sei abbastanza grave per accedere alle cure”.

La realtà fino ad ora

Nonostante i percorsi diagnostico-terapeutici raccomandino già da tempo una presa in carico integrata, la prassi clinica è sinora stata ben diversa ed è stata caratterizzata da una frammentazione delle diverse competenze. Tutto questo non fa che aumentare ancora di più la scissione mente-corpo che caratterizza i DCA.

Le figure deputate alla cura devono essere ricercate affannosamente sul territorio dal paziente e dalla sua famiglia. E, una volta rintracciate, ciascuna si occupa di un singolo aspetto compromesso, perdendo di vista l’unità psicofisica della persona.

L’endocrinologo magari si concentra solo sul problema amenorrea, nel caso delle pazienti femmine. Focalizzandosi solo sul sintomo, trascura quanto l’assenza o la presenza del ciclo sia un problema che veicola significati complessi. Si cerca dunque di risolvere la questione bombardando di ormoni una mente magari non pronta ad accogliere quel cambiamento.

Il nutrizionista spesso, magari abituato a trattare prettamente pazienti in sovrappeso, applica un sistema di pensiero schematico e inibitorio della spontaneità alimentare, già così compromessa in chi soffre di DCA. Inizia così un pellegrinaggio di nutrizionista in nutrizionista. Questo lascia addosso sia un senso di fallimento, sia una strascico di paure alimentate dai consigli non calibrati sulla sua particolare situazione. Ricordo ancora quel nutrizionista tanto celebre che mi consigliò, al posto delle crisi bulimiche, di mangiarmi uno yogurt magro e a quanto mi sentii fallita nel passare dal mangiare lo yogurt a perdere il controllo, ovviamente, e a sentirmi divorata dal cibo.

Poi si aggiunge lo psichiatra, che guarda la malattia solo dal punto di vista biologico e somministra farmaci, senza tenere conto di effetti collaterali devastanti per noi, come il gonfiore, l’aumento dell’appetito, l’astenia.

Infine lo psicologo si concentra sulla mente, una mente che – non dimentichiamo – è incarnata e quindi condizionata sia dalla sofferenza del corpo sia dal contesto di riferimento. Contesto spesso abitato da professionisti che non dialogano tra loro per cucire un trattamento a più livelli su misura della persona.

Le difficoltà del sistema curante

La complessità dei DCA, malattia che nasce dall’incastro di più fattori e che si manifesta su più livelli, spaventa. Suscita sentimenti di impotenza anche nei professionisti che, per paradosso, si rifugiano in un atteggiamento di onnipotenza terapeutica: io, solo io, ti salverò. E se non riesco, è colpa tua che non ti sei impegnato abbastanza.

Spesso anche quando si crea un collegamento tra Centro di Salute Mentale o professionista privato e centri specialistici, si crea o un processo di delega e di deresponsabilizzazione. Il paziente è quindi “palleggiato” da un servizio ad un altro, o una forma di competizione. 

Parlando poi dei ricoveri in centri specializzati, spesso la persona che viene dimessa è ribaltata ancora una volta nella realtà. E senza più una rete di riferimento e contenimento, potrebbe sentirsi spaesata e senza meta.

È invece essenziale una continuità delle cure nel territorio di appartenenza della persona, perché con l’aiuto di un’equipe integrata si riesca a ridistribuire il peso delle emozioni dal corpo agli eventi di vita. E l’inserimento del DCA in una parte dedicata dei LEA accrescerà la disponibilità di cure sul territorio. 

Le speranze dopo l’Emendamento

Ciò che ci auguriamo con questo importante emendamento è anche un cambio di mentalità che non incentivi il processo di alienazione della persona affetta da un DCA da se stessa, ma che permetta la costituzione di equipe in grado di contenere angosce e ponendosi come luogo per la riappacificazione della mente con il corpo. 

Solo così un paziente può ritornare al centro delle cure, informato e protagonista attivo, all’interno di un processo che gli permetta di agire e di essere ascoltato nelle sue parti emotive, che tanto più saranno riconosciute da tutto il sistema curante, quanto più non avranno come canale comunicativo solamente il corpo.

Articolo a cura di Mariangela Roccasalva e Federica Lupi, volontarie dell’Associazione

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