Questo articolo ha come obiettivo quello di descrivere quali sono i fattori di mantenimento dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) e come agiscono.
Cosa si intende per fattori di mantenimento?
I fattori di mantenimento sono definiti come le variabili che contribuiscono al perpetuarsi dei sintomi nel tempo. Inoltre questi ostacolano il processo di guarigione in persone che soffrono di un determinato disturbo.
Prospettiva bio-psico-socio-culturale
Considerando l’interazione tra caratteristiche biologiche, psicologiche, sociali e culturali si identificano diversi insiemi di fattori di mantenimento dei disturbi alimentari.
Un importante fattore biologico è la condizione di malnutrizione che, debilitando la salute fisica e interferendo con la possibilità di pensare lucidamente, può ostacolare la possibilità di essere agenti attivi nel proprio percorso di cura.
Altri fattori biologici sono i livelli di alcuni ormoni, tra cui le endorfine e il cortisolo, che possono condizionare il grado di stress, di eccitazione e l’appetito percepito.
Alcuni fattori di mantenimento psicologici sono:
- il mancato riconoscimento del disturbo;
- la difficoltà nel percepire e sentire il proprio corpo in maniera congruente alla realtà. Questo induce a persistere nella messa in atto di comportamenti alimentari disfunzionali nel tentativo di modificare l’aspetto del proprio corpo;
- la vergogna, che ostacola la possibilità di aprirsi rispetto alle proprie difficoltà e che spinge a nascondersi;
- il circolo soluzione-problema, ovvero la tendenza a considerare come problema principale i comportamenti alimentari disfunzionali. Questo nasce dal mancato riconoscimento del fatto che un disturbo alimentare si configura come il tentativo inconsapevole di star meglio rispetto a delle difficoltà profonde. Se ci si focalizza esclusivamente sull’alimentazione si rischia di distogliere l’attenzione dal dolore che ha portato la persona a sviluppare il disturbo alimentare. E, non lavorando su quest’ultimo, è più elevata la probabilità che il disturbo persista nel tempo.
Tra i fattori sociali si evidenzia l’isolamento dovuto ad un ritiro o a un’esclusione sociale.
Anche la pressione da parte dei familiari (o del contesto sociale) a modificare i propri comportamenti alimentari è un elemento che genera ulteriore stress e che fa sentire incompreso chi soffre di un disturbo alimentare. Questo avviene in particolare modo quando non si rispettano pazientemente i tempi necessari alla guarigione della persona.
Inoltre esistono alcuni comportamenti attuati da parte del contesto familiare e sociale che non favoriscono lo sviluppo di una maggiore autostima e autonomia nel paziente. Tra questi possono esserci la tendenza a essere iperprotettivi nei confronti del paziente o l’eccessivo controllo.
Infine, considerando i fattori culturali, si riconosce il ruolo dei modelli di perfezione legati al corpo, alcuni messaggi veicolati dai social media e la “Diet Culture” tra gli elementi che influenzano i comportamenti disfunzionali tipici dei DCA. Per “Diet Culture” si intende quel sistema di credenze e pratiche legate al cibo, all’alimentazione e alla relazione col peso in cui la magrezza è associata alla bellezza, al successo e alla salute.
Teoria cognitivo comportamentale trans-diagnostica
La letteratura psicologica ha proposto numerose teorie che hanno cercato di spiegare lo sviluppo e il perché del mantenimento dei disturbi dell’alimentazione.
La teoria cognitivo comportamentale trans-diagnostica analizza principalmente i pensieri e i comportamenti implicati nel mantenimento dei disturbi dell’alimentazione. Questo approccio unisce le teorie cognitiviste e quelle comportamentali all’interno dell’analisi di determinati fenomeni.
La teoria sostiene che nel disturbo alimentare il giudizio sul proprio valore dipenda quasi esclusivamente dal controllo che si esercita sul peso e la forma del corpo con l’alimentazione. L’eccessiva valutazione del peso, della fisicità e del controllo dell’alimentazione è di primaria importanza nel mantenimento dei disturbi dell’alimentazione.
I fattori di mantenimento: quali possono essere?
- Rinforzi positivi: la perdita di peso e la modificazione della forma corporea possono produrre gratificazione. Questo rappresenta un incentivo ad esercitare un ulteriore controllo sull’alimentazione e produce un senso di padronanza che mantiene tale comportamento.
- Dieta ferrea: una dieta ferrea rappresenta un fattore importante di mantenimento. Questo avviene in quanto concentrarsi su pensieri collegati al cibo e alla restrizione aumenta l’intensità e l’ossessione sul cibo e alla propria forma corporea.
- Episodi bulimici: una dieta ferrea produce una focalizzazione costante sul cibo e tende a limitare determinati alimenti o categorie alimentari. Questa restrizione favorisce l’insorgenza di un’alimentazione incontrollata, in quanto l’estremo della restrizione può portare ad abbuffate. La dinamica delle abbuffate produce nella persona la sensazione di aver trasgredito, il senso di colpa, l’inadeguatezza e un aumento dei pensieri sul cibo e sulla necessità di controllare la propria forma corporea. Di conseguenza alle abbuffate vengono perciò instaurati comportamenti di compensazione. Questi sono mirati al ripristino del controllo della propria forma corporea, a seguito della convinzione di aver violato regole di disciplina. È un circolo vizioso che si autoalimenta e oscilla tra restrizioni estreme, alimentazione incontrollata e compensazioni.
- Evitamento dell’esposizione del corpo: evitare di esporre determinate parti del corpo che continuano ad apparire “difettose” e inadeguate agli occhi di chi soffre di un DCA concorre a mantenere una percezione negativa della propria forma corporea, perché tende a confermarne l’inadeguatezza e impedisce di adattarsi ad essa.
- Check corporei e dell’alimentazione: pesarsi frequentemente, esaminarsi allo specchio, misurare alcune parti del corpo o confrontarsi con il corpo di altre persone concorrono a mantenere il disturbo, perché ci si focalizza sulla forma del corpo. Allo stesso modo pesare il cibo, contare le calorie e concentrarsi sui valori nutrizionali stampati sulle etichette ha un effetto aggravante sulle ossessioni relative al controllo del cibo.
- Convinzioni irrazionali su stati emotivi e fisici: si tende a sviluppare convinzioni di “associazione” con particolari stati emotivi e/o fisici, sviluppando una fusione tra come ci si sente e ciò che si crede avverrà, favorendo ulteriori restrizioni.
- Eventi interpersonali negativi e i cambiamenti emotivi associati: soprattutto nelle pazienti più giovani le tensioni familiari intensificano la restrizione dietetica, poiché il controllo alimentare rispecchia la necessità di avere un controllo sulle varie sfere della vita che sembrano sfuggire di mano. Le difficoltà interpersonali persistenti anche in altri ambiti di vita (scolastici, universitari, lavorativi…), minano l’autostima e portano a lottare ancora di più per raggiungere alcuni obiettivi valutati positivamente, come il successo di controllare il peso, la forma del corpo e l’alimentazione.
I meccanismi di mantenimento esterni
La teoria trans-diagnostica afferma che, in alcuni pazienti, possono essere presenti dei meccanismi di mantenimento legati ad altre problematiche. I meccanismi esterni interagiscono con quelli specifici e contribuiscono al mantenimento della psicopatologia, ostacolando maggiormente il processo di cambiamento e trattamento. Tra questi ci sono:
- Perfezionismo clinico: i comportamenti perfezionistici sono così estremi da danneggiare significativamente la vita della persona. Il perfezionismo e un disturbo alimentare sono due psicopatologie che interagiscono tra loro e le persone che ne soffrono sono impegnate a raggiungere un “perfetto” controllo su tutti gli ambiti di vita, compreso quello alimentare.
- Iper controllo: ovvero la convinzione che, controllando ogni aspetto della propria esistenza, sia possibile eliminare ogni incertezza ed errore che sarebbero altrimenti intollerabili.
- Bassa autostima nucleare: è caratterizzata da un incondizionato giudizio negativo su di sé che favorisce il senso di impotenza sulla capacità necessaria per affrontare un cambiamento.
- Difficoltà interpersonali marcate: l’isolamento sociale, la mancanza di esperienze, i conflitti, le liti e le emozioni negative associate accentuano alcuni comportamenti e favoriscono la concentrazione sulla psicopatologia.
- Intolleranza alle emozioni: la difficoltà nel tollerare stati d’animo intensi o l’eccessiva sensibilità a tali stati porta spesso alla messa in atto di comportamenti disfunzionali, sempre per cercare di tenere sotto controllo la sfera emotiva.
Conclusioni
Gli obiettivi principali del percorso terapeutico cognitivo comportamentale riguardano l’apprendere che controllo, perfezionismo e, in generale, il disturbo alimentare rappresentano un modo negativo e disfunzionale per affrontare i vissuti emotivi di sofferenza.
Durante la terapia si lavora per arrivare a superare l’autovalutazione in base al controllo del peso, le forme del proprio corpo e del cibo. Ci si impegna a raggiungere la normalizzazione del peso e del comportamento alimentare, a prevenire la ricaduta, a migliorare l’autostima e a sviluppare capacità di riconoscimento, validazione ed espressione di bisogni ed emozioni. Questo avviene tramite l’affiancamento di strategie utili a gestire le emozioni, sia positive che negative.
La psicoterapia si basa sul presupposto che vi sia una stretta relazione tra pensieri, emozioni e comportamenti e mira ad insegnare un modo più benefico di pensare e di comportarsi, instillando nuove abitudini che possono consentire alle persone di agire in modi migliori.
Bibliografia e Sitografia
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https://www.simonachiari.it/blog/disturbi-alimentari-fattori-di-rischio/
L’articolo è stato scritto da Francesca e Federica, volontarie dell’Associazione