Il bullismo è un fenomeno dilagante nella società occidentale e, a causa di episodi particolarmente violenti, spesso finisce sulle prime pagine di quotidiani nazionali e internazionali. In questi momenti non è cosa rara che emerga lo sgomento di molti, adulti e meno adulti, che si chiedono come sia possibile che avvengano simili episodi e si arrivi a tanto.
Come riporta anche Wikipedia, letteralmente, il termine «bullo» significherebbe «prepotente»; tuttavia, la prepotenza, come alcuni autori hanno avuto modo di rilevare, è solo una componente del bullismo, che è invece da intendersi come un fenomeno multidimensionale.
In Inghilterra, ad esempio, non esiste una definizione univoca; mentre in Italia con il termine «bullismo» si indica generalmente «il fenomeno delle prepotenze perpetrate da bambini e ragazzi nei confronti dei loro coetanei, soprattutto in ambito scolastico».
In Scandinavia, soprattutto in Norvegia e Danimarca, per identificare il fenomeno viene correntemente utilizzato il termine mobbing, così come in Svezia e Finlandia, derivante dalla radice inglese mob stante a significare «un gruppo di persone implicato in atti di molestie».
Comportamenti diretti e indiretti
Il bullismo può includere una vasta gamma di comportamenti diretti quali violenza, attacchi e/o offese verbali, discriminazione, molestie, plagio e altre vessazioni, oppure di comportamenti indiretti, tesi ad ottenere l’allontanamento dal gruppo e l’isolamento, utilizzando sistemi come il pettegolezzo, il rifiuto a socializzare con la vittima, il tentativo di isolarla mettendo in evidenza caratteristiche fisiche o intellettuali (ad esempio, uno studente particolarmente brillante potrebbe diventare oggetto di scherno come “secchione”), fino ad arrivare a spaventare i suoi amici, in modo da indurli ad allontanarsi.
Accanto a metodi attivi, finalizzati a emarginare o ferire la vittima, ce ne sono altri di tipo differente, più subdoli, secondo il modello comportamentale del “bullo amico” che, simulando amicizia e accettazione della vittima all’interno del gruppo, nascondono il tentativo di procurare danni o discriminazioni. Questi si attuano, per esempio, sottoponendo la vittima a rituali umilianti, illegali o pericolosi (a seconda dell’età o del contesto i rituali possono variare e consistere nell’invito a commettere un reato, partecipare a una competizione clandestina in auto o in moto, assumere una grande quantità di alcool o sostanze stupefacenti, fumare ecc).
Lo scopo è quello di alzare sempre più la posta in gioco in modo da esporre la vittima a rischi sempre maggiori per poi colpirla nel momento di maggiore debolezza o stanchezza oppure in quello di maggior fiducia in se stessa.
Gli stessi comportamenti vessatori che avvengono nella vita quotidiana negli episodi di bullismo possono riproporsi anche sui social media, tramite il fenomeno del cyberbullismo.
Quali sono le cause del bullismo?
Secondo quanto riporta un’indagine dell’ospedale Humanitas le cause alla base del bullismo sono difficili da individuare e spesso hanno un’origine profonda. Possono andare da una mancanza di controllo degli impulsi a problemi di gestione della rabbia, o essere legate più a sentimenti di gelosia o invidia.
È importante ricordare che, non di rado, la causa di questo comportamento è un sentimento di inadeguatezza da parte dell’autore di questi gesti.
Il bullo infatti è un soggetto fragile, sofferente, e mette in atto tale comportamento come riflesso di questa fragilità.
Ecco una panoramica delle principali ragioni per cui i ragazzi possono fare i bulli:
- per sentirsi potenti e avere il controllo della situazione e stabilire un dominio sociale;
- per affrontare sentimenti di rabbia o paura;
- per assecondare la pressione dei pari;
- perché hanno poche competenze sociali e capacità di autocontrollo;
- per affrontare problemi di autostima e fiducia;
- perché sono stati essi stessi vittime di bullismo o di violenza.
Le ragioni alla base di questo comportamento possono essere differenti e le scuole di pensiero riguardo a ciò sono ancora molteplici.
Il bullo inoltre mostra spesso una totale mancanza di empatia verso le sue vittime e una scarsa tolleranza.
Gli atti di bullismo possono essere diversi a seconda che a commetterli siano ragazzi o ragazze.
Solitamente i maschi tendono a commettere atti di sopraffazione fisica: violenza fisica e/o sessuale, aggressioni, distruzione di oggetti, percosse etc… Le ragazze tendono invece ad usare maggiormente la violenza psicologica e l’emarginazione sociale.
Il bullismo: un problema sociale e sanitario
Come riporta anche il sito del Ministero della Salute, il bullismo è associato a problemi di salute nel periodo adolescenziale che includono disturbi d’ansia e dell’umore, ideazione suicidaria, autolesionismo e disturbi da deficit di attenzione e da comportamento dirompente (disturbo da deficit di attenzione/iperattività, disturbo della condotta, disturbo oppositivo-provocatorio). È inoltre associato anche ad un maggior rischio di soffrire di disturbi correlati ad abuso e dipendenza da alcol e/o sostanze psicoattive.
La valutazione degli esiti di chi, nel corso dell’adolescenza, è stato vittima di bullismo ha mostrato un aumento del rischio di insorgenza di disturbi somatici, della personalità, psicotici e di tabagismo. In adulti vittime di bullismo in età infantile o adolescenziale sono stati osservati rischi maggiori di avere problemi di salute fisica e nell’ambito delle relazioni sociali e dell’inserimento lavorativo.
Cosa fare
L’indagine condotta dal Ministero della Salute citata precedentemente ha inoltre evidenziato come il fenomeno del bullismo (e quello del cyberbullismo) per la complessità che li caratterizzano e per la delicatezza dell’ambito di interesse, impongono che grande attenzione sia posta alle persone coinvolte che, solo apparentemente, sono la vittima e l’autore del gesto. Testimoni, genitori, insegnanti, amici, pediatri, sono tutte figure con un ruolo potenzialmente decisivo per intercettare, sostenere e interrompere un’azione fisicamente e psicologicamente dolorosa.
Per tale ragione è necessario realizzare azioni sinergiche di prevenzione e di intervento precoce, utilizzando la scuola come contenitore privilegiato. Evidenze consolidate dimostrano che i trattamenti più efficaci per le condotte antisociali riguardano lo sviluppo di competenze emotive e relazionali attraverso attività scolastiche che iniziano precocemente, ovvero in età infantile e preadolescenziale, e promuovono la cosiddetta “salute mentale positiva” degli studenti (controllo dell’aggressività, resilienza, autostima, autoefficacia), mediante il potenziamento di abilità come la capacità di autoregolazione delle emozioni, di definizione di obiettivi personali, di problem solving e di abilità relazionali. Ciò consente di prevenire fenomeni di discriminazione, marginalità sociale e persecuzione in ambito scolastico che possono dar luogo a forme di aggressività e incidere irrimediabilmente sulla personalità e sulla salute mentale delle vittime.
Gli interventi più efficaci per la prevenzione e la cura del bullismo sono sostanzialmente gli stessi che per gli altri tipi di disagio giovanile.
Un importante traguardo raggiunto è rappresentato dalle nuove disposizioni normative contro il fenomeno del cyberbullismo. Con la Legge 29 maggio 2017 n. 71 recante Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, sono stati definiti il fenomeno e gli obiettivi della legge, caratterizzati da azioni a carattere preventivo e da una strategia di attenzione, tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime sia in quella di responsabili di illeciti.
Un’esperienza
Sono educatrice da tanti anni e ho lavorato a lungo con adolescenti… Tra loro ricordo in particolare T.: una ragazza dolcissima di sedici anni in cura per BED e obesità.
Uno dei primi problemi emersi con lei fu il terrore assoluto di andare a scuola. Spesso la mattina usciva, voleva con tutto il cuore riuscire a varcare la soglia della sua classe, ma spesso non ci riusciva. Il panico era tale da indurla letteralmente a scappare e a cercare rifugio nei bar o nei parchi della città.
Ci vollero tante conversazioni con lei (e anche qualche discussione) per comprendere che il suo terrore nasceva da episodi di violenza psicologica e di emarginazione ad opera di alcuni compagni di scuola.
Sono tanti, troppi, i ragazzi come T.: emarginati, presi in giro e a volte derubati dei pochi soldi che hanno con loro; nei casi peggiori subiscono persino violenze e aggressioni dal branco.
Occorre ricordare che non tutti riescono a parlarne. Ci vuole tanto tempo e tanta dolcezza per sentirsi sicuri ad aprirsi.
È importante però non demordere. Essere presenti e ascoltare senza formulare giudizi. È solo quando il ragazzo comprende di essere supportato e accolto che si confida, permettendo di uscire dalla spirale di vessazioni e violenza.
L’esperienza di Shanti
In terza media ho subito un’aggressione fisica ingiustificata. Stavo camminando per un parco e un ragazzino mi ha presa e scaraventata a terra. Si fermò solo perché ho fatto finta di aver perso i sensi dopo la caduta.
Il peggio però è arrivato tra la prima e la seconda liceo, anni in cui sono stata emarginata dalla mia classe. Subivo prese in giro per il mio aspetto fisico; per il mio modo di parlare; per il fatto di essere brava a scuola e curiosa. Ho subito minacce per il fatto di porre domande ai docenti. Per di più su Facebook venivo schernita attraverso delle immagini che mi mettevano in ridicolo. Mi facevano foto di nascosto che venivano successivamente pubblicate senza il mio consenso (venendo anche accusata di essere isterica quando cercavo di ribellarmi).
Questo mi ha portato a chiudermi sempre di più in me stessa, arrivando a compiere atti di autolesionismo in terza superiore: cercavo di farmi del male pur di non dover affrontare la scuola.
Purtroppo ci ho messo anni a riconoscere questi atti come bullismo. E questa cosa ha aumentato la mia sofferenza, incidendo sulla scarsa autostima, sugli atti di autolesionismo e, ultimo ma non per importanza, sul mio disturbo alimentare.
L’articolo è stato scritto da Shanti e Stefania, volontarie dell’Associazione