Recovery dai DCA e mondo del lavoro: la riflessione di Francesca

recovery dai DCA e mondo del lavoro: la riflessione di Francesca

Lavoro, aspettative, stigma e recovery.

Queste quattro semplici parole saranno il filo rosso di questo articolo. 

Aspettative e performance

La retorica del “Se vuoi, puoi” è una promessa troppo spesso disattesa, ma a cui molte persone continuano a credere nonostante nasconda un giudizio morale pesante nei confronti delle classi sociali considerate inferiori. Tra queste, è importante considerare anche chi soffre di una malattia o di un disturbo mentale o chi è in percorso di recovery

Già nella narrazione dei disturbi alimentari la narrazione del “se vuoi, puoi” è molto frequente. Quando la conoscenza della malattia è basata su un’informazione superficiale e non comprovata, si tende a credere che una grande forza di volontà possa, da sola, porre fine alla malattia e ai suoi comportamenti tipici. Ma così non è.

Recovery e lavoro

In particolar modo, considerando il recovery da un disturbo alimentare, bisogna tener conto di quanto lavoro e sostegno quella persona necessita. È importante tenere a mente quanto sia essenziale e funzionale al percorso di recovery stesso sentirsi accettati e accolti nella società. 

Anche l’ambiente in cui si lavora svolge un ruolo importante nel modo in cui si gestisce il proprio percorso di guarigione. Se l’ambiente di lavoro è favorevole, collaborativo e curioso, la guarigione può convivere con la carriera. D’altro canto, se il posto di lavoro è stressante, gerarchico e altamente controllato, si potrebbero avere problemi a bilanciare entrambe le cose. Il motivo è che le persone con disturbi alimentari hanno una predisposizione allo stress, tra cui alti livelli di sensibilità, il desiderio di avere il controllo su ciò che le circonda. 

Quindi, quando una persona in via di guarigione lavora in un ambiente poco accogliente, rimanere in linea con il benessere emotivo e fisico diventa una sfida. Una sfida che, molto spesso, non si è pronti ad affrontare perché non ci si sente all’altezza dei ritmi proposti. Ritmi, purtroppo, basati su casi eccezionali che escludono una visione sistemica della società.

Stigma

Le difficoltà che una persona affronta nel suo percorso di recovery possono quindi influenzare negativamente la propria performance lavorativa e i rapporti con colleghi e/o superiori. 

Questo porta spesso ad incomprensioni perché, la maggior parte delle volte, ciò che si crede del comportamento umano ha un impatto sul modo in cui ci si rapporta con gli altri. Ciò che si crede influenza quello che si fa: se l’ambiente lavorativo è caratterizzato da un forte stigma nei confronti della salute mentale e delle persone che ne soffrono, il comportamento di tutti i suoi membri si modificherà di conseguenza. Lo stigma sulla salute mentale e sulla famosa “scelta dello star bene” tornerà sempre come un rimprovero a chi si comporta diversamente o non rispetta certi standard. Standard che non considerano le eventuali realtà di chi si trova in un percorso di recovery o in un altro percorso per la sua salute mentale.

Prospettive

Questi piccoli spunti di riflessione vertono a sottolineare le conseguenze che un ambiente non comunicativo e inclusivo possono avere su qualsiasi percorso di recovery. Si evince una forte necessità di riconoscere e di ristrutturare il lavoro in termini di spazi e tempi flessibili, creando attività di team-building diversificate e usando un linguaggio alternativo. 

Se sei un’azienda e vuoi attivarti nell’ambito della tutela dei tuoi lavoratori e della loro salute mentale, visita questa pagina: Animenta è pronta a lavorare con voi.

Fonti

Andrea Colamedici, Maura Gancitano, Ma chi me lo fa fare? Come il lavoro ci ha illuso: la fine dell’incantesimo. Harper Collins, 2023

https://www.nationaleatingdisorders.org/eating-disorders-workplace-how-handle-tough-stuff/

https://www.psychology-emotionregulation.ca/2023/03/08/is-recovery-a-choice/

Inoue K, Iwasaki S, Yamauchi T, Kiriike N. [Eating disorders in the workplace]. Seishin Shinkeigaku Zasshi. 2010;112(8):758-63. Japanese. PMID: 20976967.

L’articolo è stato scritto da Francesca, volontaria dell’Associazione

Contenuto a cura di Animenta

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