Trauma e stigma nei DCA: cosa devono sapere i medici

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I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono condizioni complesse che vanno ben oltre il peso e il cibo. Se alcuni comportamenti legati a questi disturbi sono ormai abbastanza conosciuti, come il digiuno o le abbuffate, i fattori più profondi che ne sono alla base possono essere molto complessi. Lo stigma e il trauma sono tra i più importanti aspetti responsabili di questi disturbi, sebbene vengano troppo spesso trascurati.  

Per il personale sanitario che lavora con pazienti che soffrono di DCA è importantissimo capire come lo stigma e il trauma siano spesso correlati nelle storie di queste persone. Solo così è possibile comprendere il ruolo che questi aspetti giocano nel loro percorso. In particolare modo, permette di approcciarsi di conseguenza con maggiore sensibilità e in modo più olistico.

Il ruolo dello stigma nei disturbi del comportamento alimentare

Lo stigma verso chi soffre di un disturbo alimentare crea spesso un ostacolo alla richiesta di aiuto e durante il percorso di guarigione. In molti casi, l’opinione sociale può creare un senso di colpa e di vergogna verso la propria condizione. Ciò impedisce alla persona di avvicinarsi a un percorso di cura o, addirittura, di riconoscere la propria condizione di malattia.

Lo stigma può manifestarsi in vari modi, ad esempio definendo chi soffre di DCA come vanitoso/a, egoista o con una bassa forza di volontà. Questi stereotipi non colgono minimamente le profonde origini psicologiche, emotive e spesso traumatiche di queste patologie. E, soprattutto, non permettono alla persona di sentirsi capita e validata nel proprio dolore.

Lo stigma rischia inoltre di essere interiorizzato, con la conseguenza che chi soffre di un DCA finisce per sentirsi completamente isolato, nascondere le proprie fatiche e non cercare aiuto. I professionisti sanitari devono, prima di tutto, creare uno spazio sicuro in cui i pazienti si sentano visti ma non giudicati. Il senso di vergogna che provano è reale e molto profondo. 

La pressione sociale che ruota intorno all’immagine corporea non fa altro che alimentare questo stigma: è facile sentirsi discriminati e sbagliati se non si rientra nei canoni del “corpo ideale”. E questo colpisce ancora di più chi viene già marginalizzato per altri motivi, come il colore della pelle o lo status socioeconomico. Spesso lo stigma alimentato dalla società non fa altro che aumentare il senso interno di inadeguatezza, rendendo quasi impossibile rompere il cerchio e chiedere aiuto.

Qualche esempio di stigma nei DCA

Ecco alcuni esempi di stigma quando si parla di disturbi del comportamento alimentare:

  • Giudicare il carattere della persona e pensare che chi soffre di un disturbo alimentare sia semplicemente debole, “difficile” o stia cercando di attirare l’attenzione degli altri. Invece serve riconoscere le sue profonde difficoltà emotive e psicologiche.
  • Pensare che gli uomini non possano soffrire di un disturbo del comportamento alimentare e che chi ne soffre sia ossessionato soltanto dal proprio aspetto fisico.
  • Associare i disturbi alimentari soltanto al sottopeso o a un’estrema magrezza. In questo modo si rischia di far sentire chi non rientra in queste categorie inadeguato o non degno di chiedere aiuto.
  • Pensare che soffrire di un disturbo alimentare sia una scelta e che la guarigione sia solo una questione di volontà. Questo rafforza l’idea che essere malati sia un fallimento personale e non un problema di salute mentale.
  • Pensare che i disturbi del comportamento alimentare colpiscano solo individui bianchi, escludendo le persone di colore o appartenenti ad altre culture.
  • Considerare i disturbi del comportamento alimentare un segno di debolezza mentale.

Il ruolo chiave del trauma nei disturbi del comportamento alimentare 

Il trauma, di qualunque forma, è un punto critico nella storia di chi soffre di un disturbo alimentare. La ricerca ha ampiamente dimostrato che le persone che hanno vissuto un episodio traumatico nella propria vita rischiano maggiormente di sviluppare un disturbo del comportamento alimentare. Questo funzionerebbe come meccanismo di difesa per gestire emozioni troppo forti. In alcuni casi il cibo diventa un rifugio e un modo per sentirsi al sicuro. E questo soprattutto quando il corpo si sente in pericolo a seguito di traumi passati. 

All’inizio, i disturbi del comportamento alimentare possono offrire un apparente senso di controllo e sicurezza, un modo per anestetizzare il dolore o spostare l’attenzione altrove per non rivivere l’evento traumatico. Ma quello che all’inizio è un meccanismo di difesa si trasforma in un ulteriore sofferenza. Molti pazienti si ritrovano così bloccati in una spirale da cui è davvero difficile uscire.

I pazienti con un passato traumatico, in particolare quelli che soffrono di depressione o sindrome post traumatica, possono fare molta fatica a fidarsi del proprio terapeuta. Allo stesso modo, potrebbero faticare a mostrarsi vulnerabili durante la terapia, o addirittura rifiutarsi di intraprendere un percorso di cura perché affrontare le proprie emozioni risulta troppo doloroso.

Per un professionista della salute che lavora con questo tipo di pazienti è importante capire che il trauma e il disturbo alimentare sono strettamente correlati. Capire che curare uno dei due non può prescindere da considerare anche l’altro è fondamentale per accompagnare i pazienti alla guarigione.

Quando stigma e trauma sono interconnessi

I pazienti che soffrono di un disturbo alimentare e che hanno sia vissuto un trauma sia la pressione dello stigma si trovano in una situazione particolarmente difficile, perché devono portare sulle proprie spalle un peso doppio. 

Pensiamo ad esempio a un paziente appartenente a una comunità marginalizzata: una persona di colore o della comunità LGBTQ+, ma anche con uno status socioeconomico svantaggiato. Molto probabilmente dovrà affrontare una situazione estremamente complessa. Trauma e stigma saranno parte della sua vita non solo a causa del suo disturbo alimentare, ma anche pressioni sociali legate alla propria identità. La discriminazione subita può rendere l’accesso alle cure particolarmente difficile e rafforzare il senso di vergogna e sconforto.

Quest* pazienti potrebbero quindi avere bisogno di qualcosa di più di un percorso “standard”. Potrebbero necessitare di uno spazio in cui sentirsi ascoltat* e supportat* in modo da riconoscere sia il trauma che hanno subito che i pregiudizi a cui sono stati esposti per gran parte della loro vita. Il percorso necessario per creare un ambiente non giudicante che permetta a quest* pazienti di lasciar cadere le barriere che hanno costruito per proteggersi può essere molto lungo e complesso.

Comprendere per curare

I professionisti che si occupano di disturbi del comportamento alimentare devono essere quindi ben consapevoli del legame profondo e complicato che può esserci tra stigma e trauma in questi pazienti. 

Non è sufficiente lavorare sul disturbo alimentare, ma è fondamentale intervenire sui fattori psicologici ed emotivi che lo hanno fatto nascere. 

Per questo solo un approccio multidisciplinare può essere davvero efficace in un percorso di guarigione nel lungo periodo. Dietisti e professionisti della salute mentale devono perciò lavorare in costante collaborazione. Un percorso di guarigione da un disturbo alimentare necessita di un ambiente sicuro, comprensivo e non giudicante, in cui le emozioni più profonde del paziente possono essere affrontate e le sue ferite lenite. 

L’articolo è stato  scritto da Erika, volontaria dell’Associazione

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