Individuare i disturbi alimentari non è semplice, nemmeno se si è professionisti della salute. Troppi medici, infatti, non sono in grado di riconoscere o trattare adeguatamente i disturbi alimentari nei propri pazienti.
Questa difficoltà può svilupparsi su più livelli: un medico potrebbe non prendere in considerazione una diagnosi di disturbo alimentare, oppure sospettarne una ma non essere sicur* di cosa chiedere, o addirittura preoccuparsi di chiedere qualcosa nel modo “sbagliato”.
Ma queste situazioni sono troppo comuni e impediscono a molte persone di intraprendere dei percorsi di cura adeguati e tempestivi.
Perchè i medici non si sentono pronti a trattare i disturbi alimentari?
Il principale ostacolo alla sensazione di sicurezza e competenza dei medici deriva da una formazione solamente parziale o assente sul tema dei disturbi alimentari.
La maggior parte dei programmi di specializzazione e delle scuole di medicina non prevede una formazione clinica o un apprendimento in classe sui disturbi alimentari. In tutti i settori della medicina, dell’infermieristica e persino della nutrizione, studenti e professionisti affermano di non essere preparati come vorrebbero.
La formazione è il primo passo per aiutare, perché il primo passo per risolvere un problema è conoscerlo. In particolar modo, essere formati sul tema dei DCA è di vitale importanza, in quanto si tratta di un fenomeno di enorme diffusione. Già dalla pandemia Covid-19 si è parlato di un aumento dei disturbi alimentari a livello mondiale. L’impatto è stato maggiore rispetto ad altre condizioni di salute mentale, come l’ansia o la depressione, e maggiore tra gli adolescenti.
Quali conseguenze ha la mancata formazione clinica sui disturbi alimentari?
I medici di base, così pediatri e operatori di centri di primo soccorso, sono la prima figura medica che una persona con un DCA può incontrare. Sono la prima figura che può vedere ciò che gli sta accadendo, ciò che stanno passando. Il loro sguardo dovrebbe essere in grado di cogliere i primi segnali della malattia, i più evidenti, e segnalare il problema. Tempestività e ricettività sono fondamentali per iniziare un percorso di recovery, e tutto parte da qui.
Se le prime figure cliniche che incontrano i pazienti non sono formate adeguatamente sul tema dei disturbi alimentari, questa tempestività verrà necessariamente persa. Oppure, il linguaggio utilizzato potrebbe non essere utile al/la paziente che si ha di fronte per accettare il nostro aiuto. Oppure ancora, potremmo non sapere a chi rivolgerci, da chi inviare ques* paziente, come aiutare la famiglia.
Lavorare con un occhio di riguardo su questi temi, con consapevolezza e attenzione è importante. Ed è altrettanto importante lavorare in una fitta rete di supporto. Senza questi elementi le diagnosi, le cure e le guarigioni saranno sempre più lontane e moltissime persone continueranno per molto tempo a pensare di essere sol* in questa storia e a soffrire.
Come cambiare?
Formandoci.
Animenta ha recentemente lanciato un nuovo progetto per contrastare la scarsa formazione sul tema dei disturbi alimentari, ovvero la Palestra di Animenta.
Il corso “Clinicamente esperti, umanamente formati” è strutturato in modo da garantire, oltre ai crediti ECM per le professioni sanitarie, un’adeguata formazione sul tema dei DCA.
Il corso offre la possibilità di migliorare le proprie conoscenze e i propri atteggiamenti nei confronti de* pazienti, esplorando aspetti come:
- l’importanza di una formazione verticale sui DCA: dalla clinica, alla dimensione socio-culturale, a quella comunicativa.
- un approccio più umanistico alla cura, che tenga conto della clinica e affianchi la capacità di creare una buona alleanza terapeutica;
- un approccio più attento al linguaggio e alle parole che si utilizzano durante il trattamento;
- una consapevolezza maggiore sulla comunicazione digitale, sia che si tratti di contenuti da noi prodotti che di contenuti visionati (o visionati/discussi insieme alle persone con cui si sta portando avanti un percorso di cura);
- una prospettiva intersezionale che alleni a riconoscere e dunque a saper lavorare con la ricca complessità delle storie delle persone che abbiamo di fronte;
- l’importanza di approfondire la dimensione gruppale e comunitaria;
- l’importanza di approfondire il ruolo dei caregivers nel processo di cura;
- la necessità di fare rete e consolidare un approccio multidisciplinare e interdisciplinare come metodologia di lavoro per il trattamento dei DCA;
Ma questo materiale non significa nulla se le persone non vi accedono. Non significa nulla se l* professionist* della salute non si mettono in dubbio e in gioco. E non significa nulla se non si vuole cambiare. Ci sono le vite di molte persone sul tavolo, che potrebbero cambiare radicalmente grazie al nostro aiuto: partecipiamo e formiamoci, per loro.
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