Non ho seguito la lezione. La mia testa non c’era mentre il mio corpo era a contatto con il legno della sedia.
La vocina nella mia testa non tace da due giorni e si sta divertendo a giocare ad acchiapparella con il mio stomaco; lei si diverte mentre io mi sento stritolare.
“Dovrei ascoltare la prof, dovrei capire il perché ci sono più schegge in uno strato rispetto ad un altro”, mi sono ripetuta in questa ultima mezz’ora. Ma il mio cervello non ha fatto altro che pensare ad un pezzettino di cioccolato bianco. Riuscivo a sentire il suo sapore in bocca senza neanche averlo sfiorato. Ricordavo il suo colore, la sua forma e come un rituale nella mia mente si ripetevano in loop i gesti che avrei compiuto.
Poeticamente triste
Per mezz’ora ho provato a scacciare quest’immagine. Ma più la scacciavo e più ci pensavo. Più lei diventava nitida e più il diavoletto giocava con il mio stomaco.
“Ne ho voglia”, avevo capito ascoltando il mio corpo. La voglia è diventata fame, brontolio nello stomaco.
I grandi esperti della “non-dieta” avrebbero detto che la fame e la voglia di quel momento erano da soddisfare perché il mio corpo lo richiedeva. E lui sa cosa vuole e chiede fiducia.
Fiducia
Una parola tanto bella da pronunciare quanto difficile da mettere in atto. Difficile per me. Difficile ora che non riesco a fidarmi neanche di me stessa.
Mentre mi scrutavo dentro come uno speleologo, la lezione è finita.
La voglia c’era ancora, come anche la fame fisica, ma era troppo presto per pranzare e relativamente tardi per fare uno spuntino.
“Basta, prendo quella tavoletta e la metto vicino a me. Il resto delle mie azioni si vedrà”.
Ora la carta del cioccolato è lì, accanto a me, e mi osserva; io, di contro, le lancio delle occhiate piene di felicità e di terrore. È così vicina che basterebbe il minimo gesto per aprirla e gustarmi ciò che c’è all’interno. È così vicina da mettermi i brividi e da farmi sperare che scompaia, che non sia mai esistita.
Respiro
Inspiro. Quel pezzo di cioccolato sa di dolcezza, di coccola, di libertà. Ha il colore della pura spontaneità e l’odore leggero di una domenica pomeriggio. Aprire quella carta argentata sa di leggerezza e di attenzione, per cercare di non distruggere quel luccicante involucro: pensare pur volendosi staccare dal pensiero.
Espiro. Quella confezione, chiusa, estremamente vicina, mi spaventa. Tra me e lei esiste uno spazio grigio in cui aleggiano bramosia e agitazione, uno spazio dove non saprei riconoscere neanche le mie mani e i miei gesti. Sa di perdita di controllo e di dolore, di rancore e mal di pancia.
Al solo pensiero di assecondare il mio stomaco, una scarica elettrica mi attraversa la schiena e manda in cortocircuito la mia percezione del presente e del futuro. Come se quel quadratino dolce fosse la tessera che potrebbe sconvolgere la mia realtà. Fonte di tranquillità e disgrazia al tempo stesso.
Le mani tremano, il cuore palpita e la mente è stanca di sentire urlare quella vocina.
Lei si diverte e urla, urla forte, mentre io mi spengo.
È tristemente poetico vedere quanto un nulla possa provocare tanto, come una briciola possa divenire tutto.
Tutto racchiuso in un quadratino di cioccolato.
L’articolo è stato scritto da Martina, che ha raccontato la sua storia