Animenta racconta i disturbi alimentari – La storia di Sofia

Mi chiamo Sofia e, nel momento in cui scrivo, ho 19 anni.

Ammetto che inizialmente ero molto indecisa, non sapevo se raccontare o meno la mia storia. “Non interessa a nessuno”, dicevo, “Non ho niente di importante da dire, perché qualcuno dovrebbe leggerla?”.

Poi però ho capito che tutte le storie sono importanti, perché dietro ad ogni storia c’è una persona, una vita.

Ognuno di noi è unico e speciale, anche se spesso non ci rendiamo conto di esserlo, e la sua storia conta. Conta veramente.

Un altro motivo per cui ero indecisa è che mi vergogno della mia malattia, forse in qualche modo penso sia colpa mia, anche se ovviamente so che non è così. Però ho deciso di provarci, di provare a raccontarmi, andando oltre le mie paure, perché so che mi farà stare meglio e, chissà, magari qualcuno potrà rispecchiarsi in quello che dirò.

L’inizio 

Raccontare la propria storia, ciò che si è vissuto, è davvero difficile, perché niente è lineare, niente è semplice.

È difficile stabilirne anche solo l’inizio. Io non so quando è iniziato tutto, probabilmente non lo saprò mai. Quello di cui sono sicura è che la situazione è precipitata verso la fine del 2019, avevo 17 anni e andavo in quarta superiore, ma i problemi erano iniziati già da tempo. Già da diversi anni avevo insicurezze e paure sul mio corpo, ma non solo, anzi.

Nei disturbi del comportamento alimentare le ossessioni per il corpo e il cibo sono solo la punta dell’iceberg, il modo in cui viene sfogato un disagio molto più profondo.

Negli anni precedenti, tuttavia, questi pensieri erano rimasti tali. Erano sfociati solo sporadicamente in comportamenti malati.

Non so cosa sia cambiato esattamente in quegli ultimi mesi del 2019.

Sarà stato l’anno scolastico molto pesante, la sensazione di non avere il controllo della mia vita… non lo so. Sta di fatto che ho iniziato a mettere in atto comportamenti malati: mentivo su quanto mangiavo e sull’attività che facevo e, paradossalmente, mi sentivo benissimo: sentivo di avere il controllo di una parte della mia vita e questo mi faceva sentire forte e in pace con me stessa, nonostante la sera andassi a letto affamata.

Così persi diversi chili.

Inconsapevolezza 

Poi una sera, verso la metà di dicembre, mentre mi stavo provando il vestito per una festa, mia madre entrò in camera.

Mi ricordo ancora la sua faccia: puro terrore.

Non immagino neanche cosa voglia dire vedere la propria figlia ridotta ad uno scheletro e rendersi conto di non essersi accorta di niente. Però devo ringraziarla, perché ha capito la situazione, non ha sottovalutato il problema, e ha contattato subito un centro specializzato in DCA.

Così è iniziato il mio percorso di cura.

Anche se in realtà io non volevo davvero guarire, perché non mi rendevo neanche conto di avere un problema: per me quello che avevo fatto fino a quel momento era assolutamente normale.

Le visite di controllo avrebbero dovuto essere tutti i mesi, ma poi con l’avvento del COVID e della quarantena tutto è cambiato: sentivo la mia dietista al telefono, parlavo con la psicologa online, ma mi rinchiudevo sempre di più in me stessa e nei miei pensieri malati.

La quarantena mi piaceva, perché quando non hai voglia di vivere ti fa piacere non essere obbligata a farlo, ti fa piacere non essere obbligata a vedere gli altri, avere una scusa per non uscire.

Poi è arrivata l’estate.

La situazione sembrava star migliorando, ma non era così. Nei mesi seguenti la situazione è peggiorata, i comportamenti disfunzionali sono tornati più forti di prima, anche se ora ero molto più controllata, e il peso stava tornando a scendere. 

Il day hospital: la mia rinascita 

Così, verso la fine di novembre del 2020, la mia dottoressa mi propose una cosa che non avrei mai pensato possibile, che non volevo accettare: un percorso in day hospital.

Significava andare in ospedale tutti i giorni, dalle 9:00 alle 16:00.

Significava lasciare la mia classe e seguire le lezioni di altri prof, con un programma ridotto.

È stato un pugno in faccia per me, non mi rendevo conto della mia situazione e tutto questo mi sembrava assurdo, mi sembrava che fossero tutti pazzi: io stavo benissimo, non avevo bisogno del loro aiuto. Ma sia la dottoressa che i miei genitori erano più che convinti e sono stati irremovibili, così ho iniziato il day hospital.

All’inizio proprio non capivo: mi sentivo completamente sola in un ambiente sconosciuto, circondata da ragazze che pensavo non avessero nulla in comune con me e da medici che facevo solo finta di ascoltare.

Poi però qualcosa dentro di me è cambiato e ho iniziato a rendermi conto che forse se ero lì c’era un motivo, che forse avevo davvero bisogno di aiuto. Che forse se una ragazza di 18 anni si trova tutti i giorni in un ospedale qualcosa di strano c’è.

Così ho capito di voler tornare a vivere.

Ora posso dire con certezza che questo percorso mi ha fatta rinascere.

Non penso che ringrazierò mai abbastanza quelle persone, perché mi hanno letteralmente salvato la vita.

È stata dura, perché il percorso di guarigione non è facile, anzi, è fatto di pianti, di alti e bassi, di crisi, di paure, di incertezze, di voglia di tornare indietro…e non è ancora finito. 

Cosa vuol dire guarire?

Un percorso di cura dai DCA non finisce quando si ritorna ad avere un peso sano, quello è solo una parte.

Secondo me si può guarire veramente, ma la guarigione non ha niente a che fare col peso o col cibo. Per me guarire significa non sfogare più le proprie emozioni sul cibo, significa accettare sé stessi, imparare ad amarsi e rispettarsi, significa imparare a far sentire la propria voce, a smettere di subire, a manifestare le proprie emozioni senza reprimerle, significa tornare a voler vivere veramente, non limitarsi a sopravvivere.

Io non sono arrivata a questo ancora, anzi, ne sono molto lontana, ma spero davvero che un giorno accadrà, e lo auguro a tutti coloro che stanno combattendo, perché tutti meritiamo di essere felici.

L’articolo è stato scritto da Sofia, volontaria dell’associazione, che ha raccontato la sua storia

Contenuto a cura di Animenta

PASTA DI SEMOLA DI GRANO DURO LUCANO

Rasckatielli

Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

Tracce di Glutine.

Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

306,5 kcal
1302 kj

Proteine

13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
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