Vorrei entrare nel sole – Intervista a Bill Niada

Due parole su Bill: nato a Milano, negli anni ha dato vita a progetti e ONLUS di rilievo nazionale, fra queste Il Bullone, realtà che realizza iniziative e attività per ragazzi con patologie gravi o croniche. Nel 2015 ha dato vita anche al mensile Il Bullone diretto da Giancarlo Perego con la collaborazione di alcuni giornalisti del Corriere della Sera e dedicato a temi di interesse sociale e per il quale scrivono giovani e volontari della fondazione.

Bill è anche l’autore del libro “Vorrei entrare nel sole” di cui ci ha voluto raccontare qualcosa rispondendo ad alcune nostre domande.

Ciao Bill, grazie per aver accettato di essere intervistato. Il tuo libro è ormai un successo. Prima di tutto, siamo curiosə di sapere cosa ti ha spinto a scrivere questo romanzo: da dove nasce l’idea? 

Grazie a voi per avermi dato uno spazio nel vostro mondo. Sapete, inizialmente non era mia intenzione scrivere un romanzo. Anzi, non avevo nessuna storia in testa. È successo che mi trovavo in Sardegna, era durante il periodo clou della pandemia da COVID, e mi sono ritrovato a scrivere dei pensieri sparsi, appunti, consigli di vita che avrei voluto condividere con i miei ragazzi una volta che li avrei rivisti. Sapete meglio di me quanto quel periodo sia stato difficile ma quanto allo stesso tempo ci abbia dato la possibilità di analizzare e over-pensare. Sta di fatto che non mi sembravano avessero senso questi pensieri randomici scritti così, perciò per dargli un filo logico, ho pensato di trasformarlo in una storia. Ho iniziato a scrivere di una storia d’amore tra due adolescenti e…il resto è storia! 

I personaggi principali – Alice e Luca – sono frutto della tua fantasia oppure qualche ragazzo de “Il Bullone”, l’associazione di cui sei presidente, ti ha particolarmente ispirato? 

Direi un mix. Molte parti del libro sono relative ai B.Liver, ai ragazzi che collaborano alla realizzazione del Bullone. Tanti altri invece sono riferimenti alla mia vita personale, soprattutto quello che mi lega a Clementina, mia figlia. Rivedo lei tantissimo in Luca e me nei genitori del ragazzo. Ho voluto rappresentare le mie due famiglie.

Parlaci del titolo: che messaggio nasconde?

All’inizio, dopo essermi accorto di aver dato vita ad un vero e proprio libro, ho pensato ad un titolo semplice. Come vi dicevo, non ero pronto a pubblicare un romanzo! Poi confrontandomi con esperti, mi hanno consigliato di pensare a qualcosa che avesse più impatto, proprio come la storia che avevo scritto. Così ho deciso di tirare fuori le poesie di Clementina, le ultime che scrisse prima di morire. Ce n’era una che diceva così: “…vorrei rivedere le stelle, vorrei entrare nel sole”. Ed ecco lì, nero su bianco, il titolo del mio libro. 

Ti piacerebbe se diventasse un film? Magari coinvolgendo i ragazzi della fondazione come attori

Non ci crederai, ma questa è una domanda che mi stanno facendo spesso ultimamente! Te la racconto dall’inizio: un giorno mi chiama un mio amico che ha letto il libro e, oltre a farmi i complimenti, mi dice che è molto importante che i messaggi all’interno del romanzo arrivino chiari ai ragazzi. E come se non con un film? Mi dice addirittura che lo finanzierebbe lui stesso. Allora sull’onda dell’entusiasmo, contatto un altro mio amico, al quale regalo il libro, che ha una casa di produzione. In realtà lui mi dice che essendo molto introspettivo, parlato, ricco di pensieri non stancherebbe come film. Però io non mi arrendo. Se ci sarà l’occasione, sarò pronto a coglierla. Chissà! 

Ora mi piacerebbe analizzare di più i temi del libro. Perché hai scelto di parlare di due patologie come cancro e anoressia?

Perché sono entrambe realtà molto vicine a me. Il cancro, in primis, è stato parte della mia vita a causa della malattia di cui era affetta Clementina. Durante quel periodo, frequentavo tantissimi posti e mi confrontavo con esperti di queste patologie – perlopiù pediatriche – e volevo in un certo senso omaggiare il lavoro dei caregiver perché so perfettamente quello che si vive. È stato anche il file rouge di tutto ciò che ho creato in questi anni. 

Dall’altra parte, la fondazione si occupa tanto di patologie psichiatriche come l’anoressia nervosa: lavoro al fianco di ragazze e ragazzi che lottano contro il mostro che hanno dentro, li osservo, cerco di capirli…insomma, forse inconsciamente, essendo vicino anche a questa realtà, mi è venuto naturale parlarne e associarlo alla protagonista della mia storia.

Parlando di malattie: al giorno d’oggi, purtroppo, ci sono ancora tantissimi stereotipi e bias attorno ad esse. Secondo te qual è l’arma più potente che possiamo utilizzare per abbatterli?

Personalmente vedo due cose che non funzionano nel rapporto tra “sani” e “malati”. Prima di tutto, si cerca sempre di fare una netta distinzione tra i due ma vi svelo un segreto: non esiste. Nessun essere umano è 100% sano o 100% malato, anzi. I più sani sono in realtà quelli che avrebbero più bisogno di aiuto alle volte. 

Il problema è che quando ti ammali, la tua testa inizia a “pensarti malato” e quindi inizi a rimuginare sulla vita, dicendo che sei sfigatə, che nessuno ti vorrà mai, che non potrai fare le cose che fanno gli altri ecc ecc. Allo stesso tempo però, con il tempo, diventi più sensibile e introspettivə rispetto a chi ti sta intorno. E questo è di grandissimo valore! Per cui, penso che parlare sia l’arma per combattere questi stereotipi. Ma attenzione: credo che il linguaggio migliore da usare sia l’ironia, bisogna essere leggeri, sdrammatizzare. Vi giuro che ci si può tirare fuori. Per il tanto o poco tempo che abbiamo, possiamo far sì che la malattia si trasformi in qualcosa che ci faccia rifiorire.

Il romanzo parla di sofferenza e di come tentare di gestirla, cercando la serenità nelle piccole cose. Qual è il consiglio che vorresti dare alle giovani generazioni che, soprattutto dopo il COVID, si trovano sempre più spesso faccia a faccia con il dolore? 

Vorrei dire a tutti, non solo ai ragazzi, che il dolore non è un tabù. Di fatto, non puoi far finta di non soffrire. Ma c’è un tempo per tutto. Il tempo è la cosa più importante che abbiamo. Le cose che ci capitano devono essere capite, elaborate, sistemate, masticate e infine lasciate andare. É vero quando dicono che “dobbiamo attraversare il dolore e non evitarlo”. Il consiglio principale che posso darvi è: datevi tempo. La società della performance ci chiede di fare tutto subito, di diventare belli, famosi, ricchi ecc in un battito di ciglia. Ci sono aspettative mostruose. Aspettative che creiamo verso noi stessi e verso gli altri. Questa è la cosa peggiore. Se proprio dobbiamo essere “perfetti”, almeno allunghiamo i tempi così la pressione può essere diluita. Anche per il dolore, diamoci del tempo. La vita è fatta di fasi e percorsi. Non credo nelle cose immediate. I piccoli passi, gli errori, fanno parte del processo. La consapevolezza è la chiave. 

Per chi mi leggerà: datti tempo, abbassa le tue aspettative (che, attenzione, non vuol dire non farle le cose, ma vuol dire farle con i giusti obiettivi). 

Al contrario, quale consiglio daresti agli adulti che provano ad aiutare i ragazzi in queste situazioni?

Farei una distinzione tra le situazioni:

1 – genitore/persona che ha un legame forte con il ragazzo: in questo caso il vissuto è più difficile perché ci sono di mezzo gli stati d’animo che sono razionalmente più difficili da gestire (ad esempio, non possiamo chiedere a noi stessi di non piangere, di mettere in pratica i consigli che ci danno ecc) perché si convive h24 con la paura di perdere la persona. Gli stati d’animo sono molto difficili da gestire. A questo gruppo di persone il consiglio che do è di FARE, perché facendo la testa si svuota. Prendetevi cura e fatevi aiutare da qualcuno di esperto. Da soli, in certe situazioni, non ce la si fa.

2 – persone più distaccate/che hanno un ruolo di accompagnamento: per questi, il mio consiglio è quello di creare il più possibile una vicinanza, un modo per sdrammatizzare la situazione e soprattutto, come per i primi, la cosa più importante è che la testa di applichi a fare qualcosa di concreto, di pratico.

È la strategia che adottiamo in fondazione: facciamo “lavorare” i ragazzi, così che la loro testa sia concentrata su qualcosa di pratico. Lontano da ciò che crea ansia e dolore. Anche a costo di fargli fare fatica. Con il tempo, sarà meno difficile e ne gioveranno. 

E tu, che rapporto hai con il dolore? 

Intendi fisico o psicologico? Allora, sul piano fisico, ahimè, non gli do molto spazio. Tendo a rifiutare di prendere cose finché non sto proprio male e sono moribondo, all’estremo. 

Per quanto riguarda il dolore psicologico, ammetto di averne paura. Ho paura di entrare in quei meccanismi di cui vi parlavo prima, in cui la testa entra in una bolla. Quindi cerco di avere sempre la testa occupata, sono iperattivo. Forse sarà perché sono un creativo? Sta di fatto che fino a un po’ di tempo fa cercavo di risolvere le cose da solo. Adesso che di tempo ne è passato e gli anni sono aumentati, chiedo aiuto io ai giovani per tutte quelle cose che non so fare.

Nel libro parli anche di “amore” sotto ogni sua forma: pensi che sia la chiave di volta per la rinascita?

Beh, penso che lo sia. Ha diverse sfaccettature naturalmente, non parlo solo di amore nel senso stretto, ma anche di amicizia, di relazioni di vicinanza ed empatia. Qualsiasi forma di amore è un importante strumento di arricchimento di noi essere umani. 

Qual è il messaggio che volevi mandare con questo libro? Cosa speri di suscitare nelle persone che lo leggeranno? 

Oltre all’obiettivo originale di far riflettere i ragazzi su alcuni temi, spero che il mio libro faccia capire l’importanza del senso di comunità. Avere un gruppo, inserirsi in un flusso, ti distrae dalla malattia e dai pensieri ossessivi che un po’ tutti abbiamo, anche se non soffriamo di una patologia specifica. È quello che ho creato con la fondazione e con Il Bullone: è uno strumento attraverso il quale i ragazzi possono ricostruirsi. Si è inseriti all’interno di una rete safe dove conoscono persone che hanno lo stesso percorso di sofferenza, di buio. Il messaggio che voglio dare è che non è necessario chiudersi in sé stessi e pensare solo di essere sfortunati per quello che ci è capitato. La vita vale la pena di essere vissuta, e non è una fase fatta. Apritevi, tentate, abbandonatevi agli altri, fidatevi e affidatevi. Le cose prima o poi succederanno. Certo, sono anche convinto che ci sia un enorme parte data dal destino, quindi alcune cose succedono per una ragione. Magari al momento non la vedi, sei appannato dalla rabbia dell’ingiustizia. Ma anche qui, se ti dai tempo e agisci, quando ne uscirai dovrai guardarti indietro e analizzare le ragioni e le modalità di reazione, così da essere pronti per un’altra eventuale situazione simile. Ogni volta che lo farai, evolverai e diventerai migliore. 

Prima di salutarci, vorresti lasciare un messaggio alle ragazze e ai ragazzi che soffrono di Disturbi del comportamento alimentare, il tema portato avanti da Animenta?

Non sentitevi unicə nella sofferenza. Ricordatevi che anche le persone che sembrano apparentemente sane, soffrono. Non bisogna guardare solo al proprio orticello. Provate a guardare il tutto da prospettive diverse, perché le soluzioni ai problemi tendenzialmente si possono trovare, sempre se vi date il tempo giusto, se vi fate aiutare, se vi circondate di persone che vi fanno bene. E poi, agite. Non c’è nessun altro che può farlo per te.

Tirate fuori la vostra grinta, la vostra forza perché altrimenti non succede nulla. Il detto “volere è potere” è una cagata, lasciatemelo dire. Ci sono alcune cose che non si possono cambiare. Io non ho potuto cambiare il destino di mia figlia. Ma mi sono dato del tempo e ho capito che non puoi aspettare che gli altri agiscano al posto tuo. Reagisci. Sei tu che guidi, sei tu il protagonista della tua vita!

L’intervista è stata condotta e scritta da Federica, volontaria dell’Associazione

Contenuto a cura di Animenta

PASTA DI SEMOLA DI GRANO DURO LUCANO

Rasckatielli

Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

Tracce di Glutine.

Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

306,5 kcal
1302 kj

Proteine

13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
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