Sono Chiara, ho 23 anni e convivo da circa 7 anni con un DCA. Sono qui per raccontare la mia storia e lasciare uscire ciò che non sono mai riuscita a tirare fuori, con l’intento di infondere anche solo una piccola speranza in coloro che come me hanno sofferto o soffrono ancora, perché tutte siamo in grado di tirarci fuori dal buio con le nostre forze.
Non saprei dire a che età esattamente tutto abbia avuto inizio, ma ricordo che non mi sono mai piaciuta particolarmente e ho sempre trovato in me e nel mio aspetto fisico molti difetti, specialmente in età adolescenziale. Più precisamente, forse, potrei dire che è cominciato a partire da quegli anni.
Non mi sento di poter tralasciare il fatto che dall’età di 6 anni fino ai 19 ho praticato pattinaggio artistico a livello agonistico. A distanza di molto tempo, infatti, mi sono resa conto dell’impatto enorme che quell’ambiente ha avuto sullo sviluppo del mio disturbo alimentare, nonostante fino a poco tempo fa negassi che il pattinaggio potesse aver avuto la responsabilità, almeno in parte, di tutto questo.
Io agli occhi di tutti sono sempre stata una ragazzina normopeso. Non ricordo di aver ricevuto commenti particolarmente negativi sul mio aspetto fisico, ma ho sempre vissuto circondata da molta competizione in questo senso, che mi ha portato a pensare di dover mantenere sempre degli standard di un certo tipo per continuare a essere accettata e validata. Sentivo di dover dimostrare agli altri che io ero in grado di non perdere il controllo sul mio fisico. Volevo forse essere apprezzata per questo.
Il giudizio altrui
Sebbene io non ricevessi quasi mai commenti negativi sul mio fisico, li sentivo fare sugli altri, da amici, genitori, parenti, a scuola, ma specialmente nell’ambiente del pattinaggio. Erano frequenti, infatti, durante le gare, i commenti degli allenatori, delle allenatrici, ma anche dei genitori, sul cambiamento fisico delle atlete da un anno all’altro, sui “miglioramenti e peggioramenti fisici”, così venivano definiti. Questo ha fatto sì che nascesse in me la paura di essere io la prossima atleta ad essere giudicata. Ho cominciato a temere il giudizio degli altri e a sviluppare dei meccanismi di controllo perché non volevo in nessun modo che la situazione mi sfuggisse di mano. Non avrei mai potuto sopportare occhiate e commenti sul mio aspetto fisico, sapevo che non avrei retto.
Io dovevo, volevo, a tutti i costi rimanere in quel corpo per sempre. Non potevo permettermi di cambiare, solo così mi sarei sentita sempre accettata secondo la mia concezione.
Purtroppo, piano piano questi meccanismi si sono impadroniti di me. E, a quel punto, non c’è scampo. Sono loro che controllano te senza che tu te ne accorga. Il controllo che pensavi di avere o che volevi avere, ad un certo punto, lo perdi e io l’ho perso. Nonostante questo, però, io ero convinta di avere la situazione sottomano. Mi ripetevo che stava andando tutto secondo i miei piani, che sapevo esattamente come agire e come comportarmi per raggiungere il mio obiettivo.
Era circa il 2017 ed ero all’inizio
Cominciavano a manifestarsi i primi segnali, ma io non percepivo ancora il problema. Mi sentivo forte, determinata perché ero capace di dire di no, di rinunciare a ciò che mi avrebbe ostacolato dal raggiungere quello che volevo: la perfezione. (Sono sempre stata una perfezionista in tutte le cose e sono consapevole di quanto anche questo abbia influito sullo sviluppo del mio DCA).
In poco tempo è arrivata la fase dell’iperattività, delle diete fai da te e delle privazioni e così è andata avanti per un anno quasi. Dopo quel periodo ero indubbiamente cambiata e tutti lo avevano notato. Dentro di me ero apparentemente molto felice di questo, ma io non vedevo assolutamente nessun cambiamento. Io mi vedevo sempre uguale e quindi continuavo a desiderare sempre di più, ma non era mai abbastanza. Non ero mai contenta perché non vedevo nessun risultato. Quello è stato un campanello d’allarme che mi ha fatto capire che forse mi ero ammalata.
Qualcosa non andava
È stato a quel punto, infatti, che ho iniziato a capire di avere qualcosa che non andava. Quando ho iniziato a percepire la preoccupazione delle persone attorno a me, mentre io non ci vedevo nulla di preoccupante. Lì ho iniziato a capire che forse c’era un problema, che io non avevo la situazione sotto controllo come pensavo, che non erano comportamenti sani i miei e che stavo arrecando danni alla mia salute. Tuttavia, allo stesso tempo non sapevo come smettere, come tirarmene fuori, ormai ero entrata nel loop.
A quel punto allora ho deciso di chiedere aiuto
Il primo tentativo è stato un fallimento totale, così dopo un anno mi sono rivolta a un’altra persona, dalla quale ancora oggi sono seguita. Iniziare il percorso con lei mi ha fatto prendere coscienza di soffrire di anoressia nervosa e di essere dispercettiva. Accettarlo non è stato facile. Mi fa strano anche scriverlo, eppure era la realtà e dovevo prenderne atto perché sarebbe stato il primo passo verso l’uscita.
Durante il percorso, pieno di alti e bassi, tante volte mi sono sentita intrappolata tra la volontà di uscire da quel tunnel e il bisogno di restare in quel confort. Il bisogno di non lasciare quei meccanismi che mi illudevano di poter mantenere il controllo e che mi davano sicurezza. Ero esausta di vivere così ma allo stesso tempo stavo bene dov’ero, avevo paura di uscire da lì perché sapevo che per salvarmi avrei dovuto accettare cose che non ero minimamente pronta e disposta ad accettare.
Dovevo scegliere
A un certo punto però ricordo di essere stata messa un po’ alle strette e di aver dovuto scegliere se continuare in quella direzione, sapendo cosa ne sarebbe conseguito, o darmi una spinta per risalire. È arrivato così un momento in cui mi sono detta “basta”, ero stanca di stare in quella sofferenza perenne e nonostante la paura immensa di liberarmi da quel disturbo, che solo chi ci è passato può comprendere, ho deciso che era arrivata l’ora di aiutarmi.
Nel 2019 ho lasciato il pattinaggio definitivamente. Ho iniziato un’università che mi piaceva, una nuova vita, la palestra, il percorso da una nutrizionista. Ho cominciato piano piano a lasciare andare il controllo, a reintrodurre alimenti che mi facevano paura e a mangiare assecondando la fame.
Ormai ero al terzo anno di amenorrea, finita precisamente il 14 giugno del 2020: uno dei traguardi della mia vita di cui più vado fiera, perché avevo fatto tutto da sola tornando a mangiare in modo bilanciato e ritrovando un equilibrio, rifiutando ogni cura ormonale.
Da allora…. oggi
Da allora ci sono stati momenti di ricadute, momenti in cui ho pensato di voler tornare indietro e in cui mi sono sentita di nuovo intrappolata, momenti in cui ho creduto che sarebbe ricominciato tutto e che non ne sarei mai uscita completamente. Quei momenti capitano ancora adesso, ma ho capito con il tempo che ci vuole pazienza, forza di volontà e coraggio per accettarsi per come si è, per accettare che la perfezione è irraggiungibile e che la felicità non può dipendere da quanto una persona sia magra.
Mi ci sono volute tante lacrime per raggiungere questa consapevolezza. Ad oggi non posso dire di essere del tutto fuori da quei meccanismi e di essermi completamente liberata del mio DCA, perché lui è sempre lì, pronto a bussare alla mia porta nei momenti di maggior debolezza.
Ma grazie all’enorme lavoro che sto facendo su me stessa sto diventando sempre più forte e in grado di gestirlo, e sono fermamente convinta che arriverà quel momento in cui potrò dire a gran voce di essere riuscita a farlo uscire per sempre dalla mia vita.