Mi chiamo Sara e ho 28 anni. Al momento, questo è tutto quello che so di me.
Il resto sono ricordi, spezzoni, frammenti di un passato che mi sembra lontanissimo, che non mi appartiene più e che mi sembra quasi impossibile aver vissuto.
Cosa ricordo?
Ricordo di essere sempre stata un’amante del cibo, fin da bambina. Ricordo di essere stata felice, spensierata, circondata da tutto l’affetto possibile. Niente mi è mai stato fatto mancare, niente sembrava poter andare storto. Sembrava filasse tutto liscio. Non sembrava potesse esserci nessuna crepa dentro di me, o almeno così pensavo.
Poi, improvvisamente, sono comparse alcune crepe, più o meno profonde e qualcosa, piano piano, impercettibilmente, si è spezzato.
Qualcosa è cambiato
Ho iniziato ad avere dei problemi agli occhi e ho scoperto che si trattava di una patologia nota, ma di cui non si conoscono le cause. La prima cosa che mi è stata detta dallo specialista che mi visitò all’epoca fu – lo ricordo come fosse ieri – “da oggi elimina tutti i cibi che potrebbero essere la causa della patologia”. E così, spaventata ma allo stesso tempo fiduciosa che questo avrebbe risolto il problema – così non è stato, soffro di questa patologia ancora oggi, a distanza di 6 anni – “semplicemente” ho iniziato a selezionare sempre di più cosa mangiare, finché la cosa mi è sfuggita di mano ed è diventata una vera e propria ossessione. Perché volevo porre fine a quel dolore e a quei problemi agli occhi. E per farlo avrei dato qualsiasi cosa.
Quella frase, detta da quello specialista con estrema leggerezza, è stata per me – razionalizzandolo dopo – deleteria. Io ho cominciato da quel momento, quasi senza rendermene conto all’inizio, ad eliminare completamente quegli alimenti che mi era stato detto di non mangiare, terrorizzata da questa patologia che poteva tornare da un momento all’altro.
Mangiavo poche, pochissime cose, scelte con cura maniacale, semplici, prevalentemente scondite.
Per gli altri andava tutto bene
Dimagrivo un po’ e gli altri, le persone, quella società che – inutile negarlo – è ossessionata dall’aspetto fisico – iniziavano a dirmi “come stai bene”, “sei molto bella” e scoprii che sì, mi faceva piacere. Ma io, in fondo, ero ancora la stessa persona, solo un po’ dimagrita. Cosa poteva mai succedere?
Inutile dire che il cibo non riuscivo più a viverlo in maniera positiva o come un momento piacevole della giornata. Seguivo un’alimentazione a dir poco noiosa (per chiunque lo sarebbe stata), mangiando sempre a ripetizione le solite 3-4 cose. Il momento del pasto era quasi uno stress, di cui liberarsi il più velocemente possibile. Quindi, piano piano, oltre a ridurre la varietà ho iniziato a ridurre anche la quantità, perché ero stufa di mangiare, avevo perso qualsiasi interesse per il cibo. Riducendo la quantità piano piano si riduceva anche l’appetito. E continuavo a dimagrire e seppur lentamente, i risultati iniziavano ad essere evidenti. Lo ricordo perché per la mia laurea avevo acquistato un completo e dovemmo fare stringere per ben due volte dalla sarta i pantaloni, perché persino la taglia più piccola mi stava enorme.
Non c’è stato un momento “X”
Non so dire esattamente quando è subentrato il DCA, forse non c’è un momento X, anzi, sicuramente non c’è. Quello che so è che la “discesa esponenziale” l’ho avuta durante il primo lockdown. È stato un periodo difficilissimo, di per sé lo è stato per tutti, per me lo è stato all’ennesima potenza, perché ho subito una perdita molto importante. Ho perso una delle persone più importanti della mia vita, mio nonno ed ho sofferto tantissimo. Il dolore mi ha annichilito totalmente. È stato un colpo durissimo, imprevisto, inaspettato e che non sono riuscita ad accettare (fatico ancora adesso, in realtà).
Vivere h24 in casa (in Lombardia, in zona rossa), momentaneamente disoccupata, con una perdita dolorosissima da accettare… tutto questo ha inciso duramente sul rapporto con i miei genitori e il clima in casa è diventato ingestibile.
Loro, nel frattempo, si rendevano conto che qualcosa non andava, qualcosa di cui io ero forse consapevole già da tempo, anche se lo negavo a me stessa e agli altri: avevo completamente o quasi, eliminato il cibo dalla mia vita.
Mi sono risvegliata…
Mi sono risvegliata parzialmente dal mio torpore e dalla mia totale apatia, nella quale ero piombata senza nemmeno rendermene conto, dopo mesi e mesi di lockdown, quando le persone a me più care mi hanno rivisto e si sono spaventate enormemente.
Eppure, anche questo non è bastato davvero. Non mi bastava vedere la paura nei loro occhi, la sofferenza nel vedermi scomparire e spegnermi sempre di più. Ci ho messo ancora molto tempo, prima di decidere davvero che era giunto il momento di farmi aiutare, che anche se avevo sempre fatto tutto da sola, anche se ero sempre stata una ragazza tenace e volitiva, questa volta no, non potevo farcela da sola.
Purtroppo le cose non si sono risolte né magicamente, né gradualmente. Ancora oggi, a distanza di alcuni anni, combatto contro questo brutto mostro, che nel frattempo si è trasformato, è mutato e ha preso una forma diversa.
Cosa è cambiato?
Che le persone oggi mi vedono e mi dicono “ah, finalmente, come stai bene adesso che hai ripreso peso, ora si vede che stai davvero bene, che sei guarita”. Purtroppo – e questa è una conseguenza a mio parere del fatto che i DCA si conoscono davvero molto poco – le persone sono convinte che un DCA si manifesti solo con un grave sottopeso. Ma chi soffre di uno di questi disturbi, o ne ha sofferto, sa che in realtà non è così.
Se dovessi dire come sto oggi, io, non direi che “sto meglio”, ma che sto malissimo, sto molto più male di prima, perché prima vivevo tranquilla nella bolla che mi ero costruita, avevo trovato una mia comfort zone (seppur sbagliata), avevo le mie regole, ero rigidissima, schematica, avevo tutto perfettamente sotto controllo e in quella situazione ci vivevo “bene”, perché nel mio autocontrollo non mi mancava nulla. Non mi mancavano i gelati, la pasta, la pizza, i dolci, le cene con le amiche, io proprio il cibo non lo desideravo, nemmeno lo vedevo. La fame mi era passata per davvero, non la sentivo più. E mi sentivo bene anche psicologicamente, nella mia apatia.
Ho paura…
Oggi la mia paura più grande sono proprio io, oggi ho paura di me stessa, più che in passato: mi guardo allo specchio e non riesco ad accettare il nuovo corpo in cui mi trovo, a volte dico che vorrei tornare indietro, a quando avevo il pieno controllo su tutto, mentre ora non lo ho più e sono totalmente in balia di me stessa. Voglio tornare indietro perché non ho mai provato una sofferenza simile a quella che sto provando ora, non avevo mai sperimentato gli attacchi di panico, ora sì, non avevo sperimentato la rabbia estrema, ora sì, la depressione, lo sconforto, il pensiero di non uscirne mai.
E sono stanca, stanchissima, nonostante il grande aiuto psicologico che il mio psicoterapeuta mi dà. Non mi accetto, non accetto il mio corpo e riverso la mia frustrazione sulle persone care che mi stanno intorno. Perché è vero, un DCA ti cambia anche il carattere. Io sono diventata più aggressiva, estremamente nervosa e suscettibile e me la prendo sempre con le persone che ho più vicino, i miei genitori, che soffrono per me, ma che spesso non riescono a capire quando fermarsi e come comportarsi. Li vedo soffrire, vedo quanta rabbia scarico su di loro, quanto sono aggressiva nei loro confronti (e poi la cosa diventa reciproca) e vorrei cambiare, vorrei tornare ad essere la Sara di prima, quella che non gli avrebbe mai fatto tutto il male che sta facendo a loro, oltre che a se stessa, ma so che la Sara di prima non esiste più.
Come se fossi in un tunnel… ma ho speranza
Mi sento in un tunnel, in un buco nero e non so come uscirne. Ho paura che non cambierò mai e non voglio buttare via la mia vita così, non vorrei farlo, eppure è tutto più forte di me. Ci provo a cambiare, me lo ripeto ogni giorno, ma poi ricado sempre negli stessi errori.
E sono piena di pensieri, di frustrazioni enormi e ho un’enorme paura del domani. Mi chiedo cosa ne sarà del mio futuro. Avrò una prospettiva di vita? Come farò quando sarà il momento di essere veramente indipendente? Avrò mai la possibilità di scegliere? Dove mi ritroverò a vivere e come? Mi sembra di vagare in un tunnel buio, in una galleria lunghissima di cui non vedo minimamente via di uscita. E non trovo un gancio, un appiglio.
Però non mollo, quello no. Non smetto di combattere. Quell’ appiglio – quel “gancio in mezzo al cielo” – anche se con fatica lo cerco ogni giorno, con tutte le mie forze, lo desidero più di ogni altra cosa. Non voglio rinunciare alla mia vita, non voglio rinunciare a tutto quello che la vita ha ancora da offrirmi. Perché sono sicura che c’è in serbo qualcosa per me, come per ognuno di noi… ne sono certa.
L’articolo è stato scritto da Sara, volontaria dell’Associazione, che ha raccontato la sua storia