Condividere la propria storia significa assumersi la responsabilità di mettere un’esperienza di vita privata al servizio degli altri, ma ciò implica rendere la propria vulnerabilità oggetto dei giudizi altrui.
Non sono poche le volte in cui ho ricevuto commenti indesiderati sul mio corpo, sul mio modo di vivere il cibo e sulla mia esperienza con i DCA. Se proprio devo riceverli, quindi, preferisco farlo raccontando dignitosamente cosa significa vivere con un disturbo alimentare. Raccontare le proprie vulnerabilità è simbolo di forza, è voglia di attaccarsi alla vita. E soprattutto credo che aiuti chi in questo momento legge a entrare in contatto con vissuti personali e ad acquisire maggiore consapevolezza.
Mi sono ammalata di anoressia alle scuole medie, quindi parliamo di qualcosa con cui ho convissuto per 8 anni. La mia guarigione infatti, risale ai tempi dei miei primi anni universitari, grazie ad un percorso di psicoterapia durato due anni circa. Purtroppo, però, in terapia ci sono arrivata solo dopo 6 anni di malattia.
È grazie alla psicoterapia che oggi riesco a condividere pubblicamente il mio dolore, senza vergogna di esprimere quello che è stato.
La potenza della condivisione sta proprio in questo: per quanto io abbia rifiutato negli anni ogni forma di aiuto fisico e psicologico che mi sia stato offerto, la verità è che da soli non si guarisce. Psicoterapia e supporto sociale sono stati due punti cardine intorno a cui si è sviluppato il mio processo di guarigione. Quest’ultimo è iniziato nel momento in cui ho lasciato che qualcuno entrasse nel vivo del mio dolore e mi convincesse a cercare aiuto. Prima di allora, non avevo mai pensato di aver bisogno di aiuto finchè non ho toccato con mano quanto il mio dolore stesse facendo soffrire chi era a stretto contatto con me.
Non è facile spiegare all’altro che non basta semplicemente “smettere di pensare a certe cose”, o “voler guarire”, proprio perché non siamo noi a scegliere di ammalarci.
Chi mi ha vissuta in quegli anni sa di che dolore parlo.
Io il mio corpo l’ho sfinito per anni, è stato il mezzo tramite cui esprimere il dolore. Ma non è mai stato la causa.
Per anni mi sono scontrata a muso duro con l’idea di essere malata, ma solo attraverso lo sguardo consapevole che ho acquisito oggi riesco a comprendere quanto abbia spento tutti i miei desideri. Forse, solo quando riusciamo a dare un nome alle cose, possiamo imparare ad accettarle e imparare a dare loro un peso. Ho sempre faticato per raggiungere la vita, per viverla appieno come non mi era concesso fare, perché un disturbo alimentare ti annienta la mente e ti fa dimenticare chi sei. La guarigione è stata per me un processo lungo e doloroso, ma ha rappresentato una rinascita, un ritorno alla vita.
La guarigione è riappropriarsi del corpo e della propria persona, è scoperta di sé.
Guarire da un disturbo alimentare è possibile ed è anche un’occasione per imparare a perdonarsi per tutto il dolore che ci siamo inflitti.
È l’inizio di un processo di sviluppo personale, grazie al quale possiamo entrare in contatto con la nostra autenticità e soprattutto, valorizzare la nostra salute mentale.
L’articolo è stato scritto da Susy, volontaria dell’associazione, che ha raccontato la sua storia