Questa non è “la mia storia”, ma solo una piccola storia che fa parte di un disegno molto più grande di me che ancora non conosco.
La mia storia è il corso della mia vita. Questa storia invece parla della mia malattia. Che sì… È stata importante.
Prima l’ho amata, poi odiata, e ora riesco quasi a scorgerne il senso. Mi ha fatto capire quanto io possa essere forte, coraggiosa, fragile, forte, bella, non perfetta, mutabile, arrabbiata, legittimata nel provare dolore.
Mi ha fatto scoprire che sono capace di amare anche io e che anche io merito amore. Avrei voluto capirlo in un modo diverso, è vero, ma non posso tornare indietro. E allora va bene così.
E così questa è la mia storia.
Quando mi sono ammalata, non lo sapevo. È successo tutto così in fretta e allo stesso tempo così lentamente.
Credo sia iniziato tutto parecchi anni fa. Poi ho superato tutto, o almeno, credevo di averlo fatto.
Quest’anno ho deciso di chiedere aiuto. È stato un anno complesso, ho cambiato città, ho vissuto da sola senza i miei genitori, ho iniziato l’università. Reduce di due anni di pandemia, di amicizie finite, amori dolorosi, io non ce l’ho fatta.
Sono entrata in depressione.
E lo so che tutto questo c’è chi lo sa affrontare, ma non posso farmene una colpa se io non ci sono riuscita subito e così facilmente. E allora dopo mesi, per cercare di capirci qualcosa in tutto questo casino, ho cercato di controllare ciò che mi stava succedendo. E lì mi sono ammalata di anoressia nervosa.
La mia malattia, silente dentro di me da tanto tempo, ha sfruttato il momento perfetto, e io che potevo farci? Ho smesso di incolparmi di questo, non avevo altra scelta, mi sono ammalata. Lo volevo? No.
Avrei voluto sentire i crampi allo stomaco la notte e provare a ignorarli? No. E non potevo nemmeno piangere, non potevo sentirmi fragile, mai. Eppure stavo crollando. Eppure non avevo la forza di scendere a fare la spesa, di salire qualche gradino, di fare una passeggiata.
E finché tutto questo mi è andato bene, non ci facevo caso. Poi mi sono accorta che io avevo voglia di alzarmi, di uscire, di mangiare, di bere, di ballare. Ed è lì che ho capito di essermi ammalata, anche se i medici provavano a farmelo capire già da un po’.
L’ho capito quando volevo alzarmi dal letto, ma appena lo facevo vedevo tutto nero. L’ho capito quando volevo uscire, ma mia mamma mi implorava preoccupata di non farlo perché c’era troppo caldo per me e potevo svenire. L’ho capito quando avevo fame e non riuscivo a mangiare, quando non ero più io a decidere, a scegliere. L’ho capito quando volevo andare al mare, ma mi vergognavo.
Ed è vero che era la mia malattia e che io non avevo il controllo, ma potevo decidere io di volermi curare.
E così mi sono rimboccata le maniche ed è stata la scelta più difficile che io abbia mai fatto. Reimparare a fare tutto, e stavolta farlo in maniera diversa. Ho imparato a vivere per me, qualcosa che nessuno mi aveva mai insegnato.
Ho dovuto lasciare andare le mie protezioni, i miei schemi, le regole che credevo mi proteggessero dal mondo. Poi, affidandomi ai medici, ho scoperto che quelle regole mi stavano facendo morire. Ho scoperto che, per paura di farmi male, mi stavo uccidendo.
A quel punto ci sono stati giorni strani. Giorni in cui mi sentivo piena di vita e giorni in cui avrei voluto sparire per sempre perché ogni cosa era troppo grande per me. Per me, che mi sentivo minuscola e ingombrante. Ci sono stati giorni brutti e giorni belli. Notti tranquille e notti insonni. Giornate piene e giornate vuote. E dentro la mia testa una continua lotta. Tra me e Lei.
Poi ho vinto Io.
E allora ho scritto questo:
“Questa ero io con Lei.
Lei.
Lei mi ha tolto qualcosa.
Mi ha tolto il luccichio dagli occhi, e lo ha fatto in maniera silente, subdola, strisciando, avvinghiandosi alle mie caviglie fino a ricoprirmi i sogni.
Prima mi ha tolto qualcosa dalle cosce, poi dalle braccia, dalle spalle, dalle gambe, dalla pancia, dalla schiena.
Poi mi ha tolto la forza.
Poi mi ha tolto l’amore che provavo.
Poi mi ha tolto le persone, le cene in famiglia, i pranzi con gli amici.
Poi mi ha tolto lo studio, le passeggiate.
Il mare.
E ora io mi riprendo tutto.
Un disturbo del comportamento alimentare non è un gioco, né una cosa da provare.
Un disturbo del comportamento alimentare non è una scelta.
Un disturbo del comportamento alimentare non può essere romanzato, perché non c’è niente di bello in una malattia.
Perché un disturbo del comportamento alimentare è una malattia, una malattia che pian piano ti ruba tutto. Non lo scegli tu, ti ammali e basta.
Non è voler essere più “bella/bello”, ma odiarsi. Non è una cosa che puoi controllare.
Però è una malattia dai cui si può uscire. Non con la forza di volontà, ma ritrovando il desiderio di esistere.
Guarire vuol dire chiedersi scusa.
Non è facile, è difficile. Ogni cosa è immensamente difficile.
Fa paura tutto, senti addosso tutto: ogni delusione, ogni ferita, ogni dolore. È tutto addosso a te. È nella pancia, nelle gambe, nelle braccia, sulla schiena. È il tuo corpo troppo pesante, è voler scomparire.
Eppure, paradossalmente, il tuo dolore non riguarda né corpo, né peso, né ossa.
La cosa che fa più paura è che non te ne rendi conto di stare crollando.
Anzi ti sembra di essere invincibile. La malattia è brava a farti credere di esserti amica. Ti dice cosa fare e cosa non fare, cosa dire e cosa con dire. A me è arrivata a dire cosa volevo e cosa non volevo.
Ma io ora non le credo più.
Io ora la guardo in faccia, non mi giro dall’altra parte, non mi fa più così paura. Perché ho imparato a conoscere i suoi trucchi, i suoi inganni. Quando mi sgrida, io le urlo più forte. Ho imparato a ignorarla e poi, ad un certo punto, mi sono resa conto di non sentirla proprio più.
Tu non volevi rendermi più forte, tu volevi farmi crollare.
Ora lo so.
Puoi andare, non ho più bisogno di te.
Mi riprendo ciò che è mio: il corpo che mi fa vivere, la testa che mi fa pensare, la bocca che mi fa parlare, le gambe che mi fanno viaggiare.
Riprendo me. La me che si era solo nascosta, perché ogni tanto capita.
Ma che era lì, pronta ad aspettarmi”.
L’articolo è stato scritto da Giorgia, che ha raccontato la sua storia