Ospite di questa diretta è una persona che ha vissuto un disturbo del comportamento alimentare sulla propria pelle, Ambra Angiolini, attrice, nonché conduttrice televisiva e radiofonica.
Il successo l’ha raggiunta giovanissima, impetuoso e travolgente, tanto da farle intraprendere fin da adolescente una brillante carriera. Ma è proprio in quell’adolescenza che Ambra conosce anche un grande tormento, la bulimia, che la accompagnerà per lungo tempo.
“Infame”
L’intervista ad Ambra, svoltasi proprio il 15 marzo, in onore della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, si apre con una breve sinossi del suo libro, “Infame”, pubblicato da Rizzoli nel 2020, in cui l’autrice ha raccontato la sua esperienza personale con i disturbi alimentari. Un libro – come afferma lei stessa – in cui «chiunque abbia sofferto o soffre di un disturbo del comportamento alimentare si potrà, a suo modo, ritrovare».
Perché anche Ambra, ad un certo punto della sua vita, ha incontrato sulla propria strada questo ostacolo. E per quanto non esista un unico disturbo del comportamento alimentare, queste malattie presentano tratti comuni. Questa presenza, questa voce, ha un potere enorme: è in grado di prendere il sopravvento su tutto, si impadronisce completamente della tua vita e fa suo tutto quello che, fino a quel momento, era stato tuo, nelle tue mani.
Per diversi anni, Ambra ha convissuto con questo malattia che – come solitamente accade – presentandosi come un’apparente (e col senno di poi disfunzionale) soluzione ai suoi occhi, poi non ha fatto altro che trascinarla giù con sé. Sempre più in basso, isolandola da tutto e da tutti, facendola sentire sola e incompresa.
Solo quando ha iniziato a guarire il mondo, per lei, è letteralmente ricominciato. Tutto ha ripreso ad avere un senso: nuove conoscenze, amicizie, vicissitudini, storie importanti. E Ambra lo dice utilizzando un’espressione molto forte «Mi sono ri-partorita quando ero già grande».
Il peso del cuore
Il discorso si sposta poi su un tema sempre attuale e all’ordine del giorno: quanto sia utile parlare, condividere, testimoniare, per poter sensibilizzare sempre di più rispetto ad un problema ancora oggi fortemente sottovalutato, ma soprattutto per poter aiutare chi si trova in difficoltà, per dirgli «Ti capisco, non sei solo, sono te».
Ma allora perché è così difficile nel nostro Paese, perchè questi disturbi sono così tanto sottovalutati? Quello che Ambra sottolinea è l’importanza di «rivendicare il proprio diritto ad essere curati» e quindi in primis «rivendicare la propria malattia» e dire che di malattia si tratta, non di un capriccio, non di voler essere bella e basta, come spesso si tende ancora a pensare nella mente dei più.
Ma ancora… Perché tutta questa difficoltà?
Perché i disturbi alimentari sono malattie complesse. Non c’è un’unica diagnosi o una sola cura. Non basta un farmaco per risolvere tutto. Ci vuole tempo (tanto tempo, spesso), cure, sostegno, appoggio dei professionisti e per tutto questo serve, banalmente, supporto economico (e per questo Ambra – con la vicepresidente della Commissione Sanità, Simona Tironi – si è battuta fortemente per la legge, approvata in Lombardia, per investire sulla cura dei disturbi alimentari ed incrementare sempre di più le risorse da mettere a disposizione dei pazienti e delle loro famiglie).
Perchè si cade nel tranello del dover dimostrare qualcosa?
Che si tratti di malattia, body positivity, quota rosa, perché spesso ancora oggi, anche le stesse donne, cadono nel tranello di dover dimostrare qualcosa? Di dover per forza mostrare e dimostrare, affinché quel qualcosa diventi effettivamente valido? Si tratta di un quesito a cui non è facile dare una risposta.
Re-inserirsi nella routine
La diretta verte poi su un tema fondamentale da affrontare per poter intravedere una guarigione duratura: il ritorno in società dopo un ricovero o un periodo in comunità. Ambra riporta la testimonianza di una ragazza da lei conosciuta nel gruppo di sostegno della Fondazione Richiedei di Gussago, la quale le raccontò di essere quasi alla fine del suo percorso e che la cosa che la spaventava a quel punto non era più restare lì, ma dover andare fuori, uscire da quella sorta di bolla protettiva e tornare nel “mondo reale” . Emerge qui il problema del reinserimento in società, ma soprattutto della ripresa della routine fuori dal ricovero, quando ci si ritrova “soli” con sé stessi.
Secondo Ambra la soluzione, o almeno ciò che è stato utile a lei, è quello che lei chiama “l’allenamento”. Come per tutte le cose – ad esempio per raggiungere un risultato sportivo – servono costanza e allenamento. Allo stesso modo bisogna allenare anche l’anima.
«La serenità deriva da un allenamento» – dice Ambra. «Noi siamo disposte [e disposti N.d.R.] a fare cento addominali per avere la pancia piatta, ma non lo siamo altrettanto per fare anche solo una cosa al giorno per stare bene».
Ecco perché durante la diretta è nato il concetto di Anima Tonica.
L’anima tonica è scegliere di prendersi cura di sè, della propria anima per l’appunto attraverso piccole azioni che ci fanno sentire bene; che ci fanno provare soddisfazione non appena concluse; che ci arricchiscono. Ognuno può scegliere quello che vuole e metterle in pratica con frequenza.
A volte fa paura…
Aurora sostiene che, forse, in realtà spesso non si sia disposti ad impegnarsi in qualcosa anche solo per paura. La felicità, la tranquillità, la pace, fanno paura. Forse perché, afferma Aurora, ci si domanda spesso che cosa sia realmente la felicità e come si possa raggiungere. In questo modo si finisce, però, per contribuire a tenerla lontana, questa felicità.
La felicità è invece un qualcosa che va ricercato, passo dopo passo, a partire dalle piccole cose. Come? Allenandosi: se tutti i giorni sappiamo molto bene a che cosa diciamo NO – e chi soffre di un DCA lo sa bene – bisogna allo stesso tempo trovare qualcosa a cui dire SÌ e riuscire a lavorare su quello. Dargli spazio, senza averne paura. Solo così, passo dopo passo, i risultati arriveranno e allora la felicità non farà più paura, sembrerà sempre un pochino più vicina.
Sensibilità
«In un momento davvero difficile, credo uno dei più bui, incontrai un giorno una persona che mi disse: Ambra, la tua fortuna è che “senti” così tanto che non dipenderai mai da niente […], perché tu hai bisogno di sentire e non ne hai paura. Io ci ho pensato e da quel giorno ho cominciato a sbloccare il sentimento dell’aver paura e ho accettato il fatto che la mia indole era quella lì, io sono così, ed è bellissimo. Se io coccolo questa parte di me che ha bisogno di tanta tenerezza da parte mia e di mani forti, è solo bello quello che succede, se invece la combatto allora succede qualcosa [di negativo N.d.R.]».
Riguardo al tema della sensibilità e dell’ipersensibilità è Laura a confermare quanto detto da Ambra: fin da piccola è sempre stata “accusata”, (parola anche da lei messa tra virgolette) di essere troppo sensibile, mentre ora si è resa conto di quanto la sensibilità, l’empatia siano un dono. Anche lei, come Ambra, ricorda che quando contrastava questi sentimenti – vedendoli come qualcosa di negativo e di esagerato, invece che accettarli – non accadeva nulla di buono, mentre quando ha imparato ad accoglierli, si è resa conto che qualcosa stava cambiando in lei; qualcosa che, nel tempo, come un allenamento, l’ha aiutata anche a gestire i momenti di difficoltà.
Un reminder per tutti noi
Conclude Ambra con delle parole molto forti e significative «Dobbiamo imparare a vibrare in alto, a portare in alto la nostra anima, il nostro cuore.» Ci vuole tempo, costanza, allenamento (parola che ritorna spesso), ma è fondamentale non arrendersi, continuare a dare tutto per la propria serenità. Perché dalla malattia si può guarire, dal punto più basso ci si può rialzare; è sempre possibile ricominciare, con il proprio bagaglio personale di ferite curate e di cicatrici indelebili.
L’articolo è stato scritto da Sara e Filippo, volontari dell’Associazione