La storia del mio disturbo alimentare ha inizio nel 2017 con una dieta. Sapevo forse di avere qualche chilo di troppo, ma non avevo mai ricevuto particolari prese in giro sul mio aspetto fisico. Un giorno, semplicemente, mi sono svegliata e qualcosa mi ha detto che dovevo cambiare. Ho iniziato, sbagliando, una dieta senza essere seguita da nessun professionista e nel giro di pochi mesi avevo perso parecchio peso.
Qualcosa è cambiato
Stavo meglio, mi sentivo in grado di fare qualsiasi cosa. Ora le persone mi notavano. “Wow, che bel fisico che hai!” “Ma come hai fatto?”. Tutti mi vedevano e sembrava mi apprezzassero. Iniziai a pensare che, anche se avevo fame, quello era un piccolo sacrificio per piacere di più. A ottobre mi scomparve il ciclo, ma ovviamente, non ci diedi peso. Come non diedi peso al fatto che avevo paura di mangiare con i miei amici. Mi sembrava che mangiassero sempre meno di me, o più lentamente, magari avanzavano un po’ di pizza e io invece la finivo tutta. Mi sembrava che tutti mi osservassero. Per qualche anno il mio peso rimase stabile, un peso non sano, ma stabile. Dicevo a tutti che avrei voluto riprenderne un po’, ma la verità è che non facevo nulla di concreto per farlo. Illudevo me stessa che il mio corpo “non riuscisse” a prendere quei chili.
Corso di cucina
Dopo la morte di mio padre lasciai l’università e mi iscrissi a un corso di cucina professionale, perché cucinare era l’unica cosa che riuscivo a fare nei mesi seguenti al lutto. Al corso passavo tutta la mattinata a preparare piatti che, a fine giornata, non riuscivo a mangiare: ne sapevo le grammature, le calorie…numeri su numeri. Io ho sempre odiato la matematica, ma mi ero trasformata in una calcolatrice umana. Nel frattempo mio nonno si ammalò gravemente. Non potevo sopportare di perdere un’altra persona. Volevo alleggerirmi, scomparire, evaporare. Era tutta colpa mia.
Iniziai dunque ad avere un’alimentazione molto irregolare e sbilanciata, fino a che non fui costretta a lasciare il corso perché il mio corpo non reggeva più. Lasciai anche la palestra, che è sempre stata la mia valvola di sfogo. Inutile dire che il mio peso scendeva sempre di più. Ma a me non importava più nulla. Io mi ero messa in testa che mi meritavo quella sofferenza. Facevo tanta attività, anche purtroppo fino a stare poco bene. Non mi riuscivo più a concentrare su nulla, non potevo guardare film o leggere libri, non uscivo più con nessuno. Mia madre era preoccupata per me, ma a me la situazione non sembrava così grave, anzi, ero sicura di stare bene.
Il periodo del ricovero
Il due febbraio 2022, il giorno del compleanno del mio papà, venni ricoverata in ospedale dopo essere stata portata in pronto soccorso da mia madre. Non pensavo di meritarlo. Non pensavo di essere malata. Dopo un mese in reparto andai in clinica. Nel frattempo mio nonno morì e io ottenni un permesso per recarmi al suo funerale. Uscire da quel luogo protetto dopo più di due mesi mi spaventava molto, eppure fu proprio quella giornata che cambiò tutto. Non so dire che cosa, ma qualcosa in me scattò, la voglia di guarire per davvero. Uscita dalla clinica sono una persona diversa. Ho imparato tanto dal mio ricovero: ho conosciuto tante persone stupende, ho acquisito più consapevolezza di me stessa, delle mie capacità e dei miei limiti e ho iniziato a provare ad accettarmi un po’ di più. Ma la cosa più importante è stata il prendere consapevolezza di avere una malattia chiamata anoressia, una malattia che non pensavo nemmeno mi appartenesse e di cui non riuscivo neanche a pronunciare il nome.
Oggi non mi sento ancora guarita. Ci sono giorni più difficili di altri, ma ho imparato a chiedere aiuto. Ho capito che i disturbi alimentari sono malattie che vanno curate come qualsiasi altra malattia e chiedere aiuto non è un’umiliazione, non è “un capriccio”.
Oggi non sono guarita, ma riesco ad avere amicizie, a leggere, a gestire i pensieri negativi quando arrivano. La strada è ancora lunga e non è sicuramente lineare, ma sto riprendendo la mia vita in mano, la vita che ogni ragazz* di ventun’anni si merita di vivere.
Tra poco inizierò un nuovo lavoro, finalmente potrò tornare in palestra, faccio parte di questa Associazione. E fidatevi, tutto questo vale molto di più di quella vocina.
La vita fuori dalla testa ha valore.
L’articolo è stato scritto da Irene, volontaria dell’Associazione, che ha raccontato la sua storia