Quante volte, scorrendo i contenuti sui social media, ci capita di imbatterci in video ricette? Ludovica Gargari è una chef digitale, laureata presso la Scuola Internazionale di cucina italiana Alma, che accompagna le nostre giornate online con le sue ricette e il suo dolce modo di comunicare a chi la ascolta.
Proprio grazie alla sua professione (e passione) per la cucina e la sua gentilezza, Ludovica e Animenta si sono incontrate, dando vita ad uno dei laboratori di cucina che la nostra Associazione, in collaborazione con la Fondazione Cotarella, organizza. In tale occasione ho avuto modo di conoscere personalmente Ludovica e chiacchierare con lei di tematiche che stanno particolarmente a cuore ad entrambe, connesse al mondo dei Disturbi del Comportamento Alimentare, della salute mentale e, soprattutto, del mondo culinario.
Nel tuo libro “Nient’altro che la verità” racconti, come in un diario, la tua storia e il tuo vissuto, compreso il periodo della malattia. Cosa consiglieresti a qualcuno che si trova nelle stesse difficoltà o in un percorso di recovery?
Ognuno è diverso e non bisogna trovare per forza un’etichetta alle cose, se si sente il bisogno di voler stare meglio. Ma una cosa vale per tutti e tutte: bisogna farsi aiutare da persone esperte e informate se ci si trova in una situazione di difficoltà. Chiedete aiuto perché in quel limbo di sofferenza non si può restare a lungo: i danni sono enormi e alla fine o scegli di vivere o si muore. Per me, il periodo di rinascita è direttamente proporzionale al tempo che continui a stare aggrappato a quegli specchi e a quelle abitudini disfunzionali. Devi tornare ad esistere, invece di resistere.
Che rapporto hai con il cibo, sia nella tua vita di professionista che nella vita privata?
Personalmente, do molto valore a quello che mangio e che utilizzo ai fornelli: mi piacciono i prodotti genuini sia per nutrirmi che per cucinare. Alimenti puliti, e se di realtà piccole e locali di nicchia ancora meglio!
Sono curiosa e, proprio grazie a questa curiosità, ho ritrovato le “farfalle nello stomaco”, che è anche titolo del mio ricettario. Ho sempre pensato che il cibo influenzi il nostro stato d’animo e, viceversa, l’anima il nostro rapporto con il cibo. Di conseguenza, dobbiamo far comunicare stomaco, testa e cuore: è estremamente difficile, ma ci si può riuscire.
In che modo, secondo te, è possibile riavvicinarsi al cibo e all’atto del cucinare dopo una difficoltà a relazionarcisi, come per esempio accade con i Disturbi del Comportamento Alimentare?
Il processo di riavvicinamento al cibo e alla cucina è molto molto personale, ma credo che possa essere facilitato e supportato tramite forse un percorso multidisciplinare che accompagni la persona in questa “ri-scoperta”.
Cosa significa per te cucinare? Quale piatto non ti stancheresti mai di preparare?
La pasta fresca ripiena. È il piatto che più mi ricorda l’esperienza alla scuola di cucina. E poi il pesce: amo tutto ciò che sa di mare. Sono felice che nel brutto periodo della malattia io non avessi ancora questa passione, ma che anzi che io l’abbia scoperta proprio quando sono uscita del tutto da quella situazione. Ora mi godo tutto il mondo che ruota attorno alla cucina.
In molti mi dicono spesso che quando sono giù di morale cucinano dolci: per te la cucina può avere un ruolo terapeutico?
Certo, se fatto nel tempo libero cucinare è un atto molto rilassante.
Sui tuoi profili social sei molto presente e attiva: come vivi il tuo rapporto con questo mondo e con il pubblico che ti segue?
I social media sono parte del mio lavoro a 360 gradi e mi piace restare in contatto con il mio pubblico. Certo, quando è possibile vedersi dal vivo e parlare e cucinare insieme è un altro effetto.
Hai mai trovato, nella tua esperienza, una relazione positiva o negativa tra social media e salute mentale?
Credo che non bisogni abusare del tema, ma lasciare che di salute mentale parlino le pagine ad hoc. Noi tutti, online, possiamo essere portavoci di messaggi positivi, di esperienze metabolizzate e passate. Ed essendo i social media un mezzo estremamente accessibile, ancor di più bisogna pesare le parole che si dicono e le cose che si mostrano sui propri profili social.