Non so bene da dove iniziare a raccontare questa storia. Non perchè non sappia com’è iniziata, quanto più perchè l’inizio è stato cancellato dal dolore. O almeno così mi ha spiegato la mia prima psicologa.
Mi chiamo Elisa e ho 25 anni. Ho vissuto tante vite durante la mia vita e alcune di queste sono state segnate da due diversi disturbi alimentari. Prima l’anoressia e poi la bulimia.
Avevo 16 anni quando tutto è iniziato. Giocavo a pallavolo, vivevo con i miei genitori, frequentavo il liceo. Figlia perfetta: accondiscendente, dolce, sensibile, precisa, attenta, voti alti, amici, indipendente, aiutavo a casa. Cosa volevano i miei genitori, i miei amici, i miei insegnanti di più di questo?
Beh, non mi ero mai chiesta cosa volessi io, chi volessi essere davvero. Mi sono sempre proiettata addosso le aspettative degli altri, anche quando questi magari non ne avevano. Mi ero costruita un personaggio da interpretare ed ero bravissima sicuramente, ma cavolo, che pesante che era.
E come le pentole a pressione che per non scoppiare devono sfiatare il vapore, allo stesso modo tutto questo mio dolore, che coprivo dietro diverse maschere, dovuto ad un profondo senso di inadeguatezza, il non sentirmi mai abbastanza, non piacermi e non accettarmi per le mille qualità che avevo, piuttosto di penalizzarmi per quelle che non avevo, ecco, in tutto questo tumulto di emozioni ha preso vita l’anoressia.
Me la sono portata dietro per molti anni
I primi mesi nemmeno li ricordo. Mi ricordo solo un numero sulla bilancia che mi ha fatto dire “no, così tanto no” e da lì prendere la classica scelta di un’adolescente indipendente “adesso faccio da sola”. Sbagliatissimo, ma lo possono dire solo ora con l’esperienza acquisita da tanti diversi percorsi. Le porzioni dei piatti si sono ridotte sempre di più e allo stesso tempo si riducevano anche il mio corpo, la mia felicità e la mia spensieratezza.
Non ricordo in alcun modo quanto e cosa mangiassi, è come se il mio cervello avesse voluto fare tabula rasa di tutto quel dolore e quindi ciò che possono associare a quel periodo sono spezzoni sconnessi e il buio. Totale. Poi però è successa una cosa che mi ha scossa e da lì riesco a ricostruire il percorso che ho fatto: mia mamma, seduta a tavola di fronte a me, mi guarda e mi dice “Eli, non è il caso che chiedi aiuto a qualcuno?” e io senza esitare l’ho fatto. Ne sentivo il profondo bisogno.
Grazie a me
Devo ringraziare me stessa per essere sempre stata una persona estremamente introspettiva e realista e ammetto che tutte quelle volte che mi sembra di non sapere come sto e quale sia il problema, in realtà sto solo mentendo a me stessa, perchè magari in quel momento è più facile e non ho le forze per affrontare tutto ciò che comporta guardarsi dentro. Non è sempre possibile e facile farlo.
In ogni caso, da lì ho iniziato un percorso psicologico che è durato per 4 anni e che almeno mi ha portata a riprendere del peso. Era quello l’obiettivo? Ovviamente non solo, perché sappiamo tutti appunto che il cibo e il corpo sono solo l’espressione ultima di un dolore molto più profondo e radicato. Ad oggi posso solo dire che ho lavorato su quello che potevo per l’età e la maturità che avevo allora, ma non è stato sufficiente.
Non è stato sufficiente perché poi, dopo circa un anno e mezzo dalla conclusione del mio primo percorso psicologico e dopo una brutta delusione d’amore, si sono re-innescate in me le stesse domande e gli stessi meccanismi ed ecco che invece quella volta è nata la bulimia. Ma forte di quanto già passato prima, in concomitanza a ciò è iniziato anche il mio secondo percorso psicologico. Sapevo bene che quello che stava succedendo era dovuto a qualcosa di più profondo.
Devo dire che mi dispiace tanto per questo mio corpo che ho maltrattato per tanti anni, inutilmente, perchè alla fine non era lui il problema, ma i costrutti mentali che avevo rafforzato nel tempo, vuoi un po’ per fragilità mia, vuoi comunque per tutto quello che la società di adesso ti mostra.
Solo 4 anni dopo l’inizio di questa seconda fase posso dire di essere abbastanza forte per fare due cose: guardarmi dentro e riconoscere oggettivamente quello che sta succedendo; affrontarlo e sopportare il peso delle mie scelte quando non sono conformi a quello che gli altri si aspettano o ritengono giusto.
É stato facile? Assolutamente no
Non augurerei a nessuno di passare tutto quello che ho passato. Ma sono fiera di me ora? Sì tanto. Per più motivi in realtà: sono diventata una persona matura, che sa quello che vuole dalla vita, ha dei valori concreti e tangibili che porta avanti a testa alta indipendentemente da quello che gli altri pensano e dicono; faccio un lavoro che mi rende davvero felice e non quello che pensavo sarebbe stato giusto per me; ho imparato a coccolarmi e a darmi importanza, a dedicare del tempo esclusivamente per la mia mente e il mio corpo senza sentirmi in colpa perchè non sto dedicando quel tempo agli altri; ho imparato cosa vuol dire gustare il cibo e sono tornata a cucinare e a vivere i momenti di convivialità con gioia e relativa spensieratezza.
Sono convinta però di una cosa: il cibo rimarrà per sempre il mio punto debole. Ma ne sono consapevole e ho tutti gli strumenti per gestire ed accettare quei momenti di down che so che si innescano a seguito di un’eccessiva pressione emotiva. Anche di questo sono tanto soddisfatta. Due percorsi psicologici, libri e scelte di vita, persone incontrate nel mio cammino mi hanno permesso di conoscermi così a fondo da sapere tutto questo. É un tesoro inestimabile per me, che non voglio barattare più con niente altro.
L’articolo è stato scritto da Elisa, volontaria dell’Associazione, che ha raccontato la sua storia