Discrepanze tra narrazione e realtà nei Disturbi Alimentari: la riflessione di Zoulikha

discrepanze tra narrazione e realtà nei disturbi alimentari

Quando sentiamo parlare di disturbi alimentari (DCA) la prima cosa che ci viene in mente è, solitamente, il pensiero di una donna, bianca, eterosessuale, benestante, sotto i trent’anni, affetta da anoressia. Questo immaginario non ha un’origine casuale. Ha radici profonde che si piantano nella narrazione semplicistica e pressapochista fatta da film, tv e social media in tutti questi anni.

Questa narrazione ha avuto la conseguenza di aver generato un archetipo stereotipato della malattia. Oltre a ciò, ha anche e soprattutto instillato nelle persone un vero e proprio paradigma di confronto. Secondo questo paradigma se un soggetto non corrisponde alle caratteristiche dell’archetipo descritto, allora non soffre di DCA o non ha diritto di soffrirne.

Questo ha portato a gravi ripercussioni sia su come viene vista e concepita la persona malata di DCA, ma anche su come vengono concepiti tutti i disturbi alimentari (come l’anoressia, la bulimia, il binge eating, l’ortoressia…). Questi disturbi sono spesso sottovalutati o, talvolta, addirittura non considerati. In realtà questi non sono in nessun modo secondari o meno gravi dell’idea stereotipata che abbiamo radicata nella nostra mente. 

I disturbi alimentari tra narrazione e realtà

Ecco perché la finalità che si propone questo articolo è quella di analizzare le discrepanze narrative tra la narrazione data dai media e i dati attuali sui DCA. In particolar modo è importante focalizzarsi sulla maniera in cui le narrazioni cinematografiche, la televisione, e i social media hanno impedito un’adeguata conoscenza dei disturbi alimentari nel corso degli anni. 

Uno studio condotto dal Journal of Eating Disorders ha messo in relazione le rappresentazioni cinematografiche americane dagli anni ‘80 con i dati demografici di chi oggi soffre di DCA. Questo studio ha fatto emergere una statistica interessante.

La maggior parte dei personaggi cinematografici affetti da un qualsiasi tipo di DCA sono eterosessuali (75,56%), bianchi (84,85%), donne (89,39%), e sotto i 30 anni (84,85%). Il problema di queste statistiche sta nel fatto che esse non corrispondono alla realtà statistica dei soggetti che effettivamente soffrono di disturbi alimentari.

Si è circoscritto inconsciamente un criterio per cui chi soffre di disturbi alimentari sia necessariamente, donna, bianca, eterosessuale sotto i trent’anni. 

E gli altri corpi che fine hanno fatto? 

Le loro esistenze dove sono finite? Il problema di questa narrazione è che ha portato le persone a banalizzare i disturbi alimentari e ha portato chi ne soffre a sentirsi invisibile. Il non corrispondere allo stereotipo porta a sentirsi non considerati, non rappresentati, non visti.

Naturalmente in questo discorso gioca un ruolo importante anche la narrazione dei corpi grassi. Essi vengono spesso sabotati da una narrazione erronea che vede il corpo grasso come corpo pigro. Questa narrazione, purtroppo, viene alimentata anche attraverso l’immaginario social di persone con una fisicità ideale, “perfetta”, che vede l’ingrassare come un avvenimento triste e di cui vergognarsi. Questo non fa altro che alimentare la grassofobia e la stigmatizzazione sui corpi grassi.

Accettare il proprio corpo in una narrazione inclusiva

Come si può insegnare a qualcuno ad amare il proprio corpo partendo dal disprezzo verso una tipologia di corpo diverso? Tutti i corpi hanno il diritto di esistere, così come tutti i corpi hanno il diritto di ammalarsi. Non esiste uno standard per stare male. Così come non può esistere uno stereotipo che sancisca chi è degno di cure e chi no.  

Questa narrazione deve diffondersi ed essere interiorizzata dalla società. Le problematiche che generano le altre retoriche portano infatti all’aumento di percezioni errate della malattia. Queste percezioni sono perpetuate da medici, famiglie, responsabili politici e spesso anche degli stessi pazienti.

Davanti a rappresentazioni mancanti, molte persone non chiedono aiuto perché non pensano di poter soffrire di un disturbo alimentare, oppure non si ritengono “malati abbastanza” da chiedere aiuto. 

E’ quindi necessario decostruire lo stereotipo per permettere a chiunque la comprensione di queste malattie. Esse non colpiscono in base al sesso, all’etnia, all’età o all’orientamento sessuale. Il riconoscimento della malattia è la chiave di volta per poter iniziare un percorso di recovery. Tale riconoscimento passa inevitabilmente anche attraverso la narrazione dei disturbi alimentari presente in tv, nei social media e nelle altre rappresentazioni mediatiche.

L’articolo è stato scritto da Zoulikha, volontaria dell’Associazione

Contenuto a cura di Animenta

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