Di cosa abbiamo fame?
«Ciao Lorenzo, come ti senti?». Queste le prime parole che mi sento rivolgere da Aurora, giovane co-fondatrice di Animenta. Questa domanda così semplice con il tempo ha iniziato ad avere un significato più profondo per me, e ad oggi credo fermamente che il sapersi sentire sia uno dei requisiti fondamentali per affrontare un disturbo alimentare.
Ho cominciato ad avere comportamenti bulimici all’età di 21 anni, in estate. All’epoca non conoscevo nemmeno la parola “bulimia” e pensavo di avere il totale controllo su ciò che stavo facendo.
Mi sbagliavo.
Ho tenuto nascosto questo comportamento per più di sette anni, illudendomi di poter gestire la cosa da solo e vergognandomi di non riuscirci. Avevo paura che le persone a me vicine si potessero ritenere in qualche modo responsabili o che mi giudicassero. Fortunatamente, ancora una volta mi sbagliavo. Non dico che parlare di disturbi alimentari sia facile, anzi spesso faccio fatica a farmi capire da persone che non hanno mai avuto problemi simili con il cibo. Ma laddove temevo di scontrarmi con senso di colpa e giudizio, ho invece semplicemente trovato apertura e affetto. Parlare del proprio rapporto con il cibo può creare dei canali comunicativi molto forti, intimi.
Nel tempo…
All’inizio le uniche motivazioni che mi sembrava di avere erano la fame, il senso di colpa successivo all’abbuffata e il desiderio di voler apparire più magro e attraente. Tuttavia con il tempo ho scoperto nel mio rapporto con il cibo una complessità che non mi sarei mai aspettato. Con gli anni ho iniziato a trasformare questo mio comportamento in un’abitudine, nascondendo le quantità di cibo che mangiavo. Ho iniziato a temere l’inverno perché sapevo che durante quei mesi ero più portato ad abbuffarmi, specialmente di notte. Ho iniziato a non riconoscermi più nel mio corpo. Ci tengo però a precisare che, per fortuna, il mio non è mai stato un disturbo con implicazioni fisiche gravi: non ho mai avuto segni di Russel particolarmente evidenti, non ho subito danni significativi ai denti o agli occhi, non ho mai sofferto di reflusso gastroesofageo. I danni psicofisici di un disturbo alimentare però possono essere molto gravi, ed è anche per questo che ci tengo a condividere la mia esperienza.
I rischi di un DCA
I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) sono più rari di altri disturbi mentali, ma in percentuale sono tra i più fatali, e l’anoressia nervosa, in particolare, è riconosciuta da molti come il disturbo mentale con il tasso di mortalità maggiore. Senza considerare che i dati relativi ad entrambi questi studi sono probabilmente in difetto in quanto molte ospedalizzazioni vengono registrate come casi di malnutrizione e molti decessi vengono classificati come arresti cardiaci.
Cosa significa bulimia?
Stando alla Treccani, la parola “bulimia” viene dal greco βουλιμία, letteralmente “fame da bue”. Tuttavia, contrariamente a quanto si possa credere, spesso il vero stimolo che dà adito a simili comportamenti disfunzionali non ha nulla a che vedere né con il cibo né con la fame nel senso più fisiologico del termine.
Ma di cos’è, quindi, che si ha fame?
Se normalmente mangiamo per placare il nostro appetito, inteso come vuoto fisiologico, è anche vero che per proiezione il cibo e la fame possono rappresentare tantissimi altri significati. È per questo motivo che, ad esempio, finiamo con il mangiare per noia, ovvero per riempire il nostro tempo. Mangiamo per non sentirci sopraffatti dall’ansia, come se volessimo tappare a forza la fuoriuscita dei nostri sentimenti con il cibo, come se il nostro mangiare rappresentasse per noi uno spingere e nascondere dentro di noi pensieri e sentimenti scomodi.
Mangiamo quando siamo tristi o soli e cerchiamo di consolarci o di farci compagnia con il cibo; quando siamo stressati o arrabbiati e identifichiamo il cibo con la causa di questi disagi. O ancora quando abbiamo un vuoto affettivo: abbandono, lutto, insoddisfazione sessuale. Mangiamo perché ci sentiamo fragili e insicuri e cerchiamo di fare del nostro corpo una fortezza, un baluardo inespugnabile. O perchè siamo insoddisfatti del nostro lavoro, della nostra vita, perché non ci sentiamo realizzati come persone. Mangiamo perché vediamo il cibo come un nemico e vogliamo punirci, perché abbiamo delle pulsioni autodistruttive che ci spingono a raggiungere il fondo; o perché abbiamo trovato nel cibo un meccanismo di difesa e non riusciamo più a immaginare la nostra vita senza di esso.
Episodi di bulimia
Le cause possono essere le più disparate, ma tipicamente gli episodi di bulimia hanno dei tratti comuni: perdita del controllo, vergogna e senso di colpa, compensazione. Nel mio caso le cause principali coinvolgono sicuramente l’ansia, il senso di solitudine e un’insoddisfazione generalizzata che va di pari passo con una tendenza depressiva che si ripresenta in maniera quasi ciclica. Molti professionisti pensano ai disturbi alimentari non tanto come a delle malattie, ma piuttosto come a dei sintomi, e personalmente mi sento in linea con questa posizione. C’è stato un periodo in cui somatizzavo il mio disagio non con le abbuffate, ma con la balbuzie.
Stare vicino a chi si prende cura…
Una similitudine tra i disturbi alimentari e le malattie intese nel senso più stretto invece è la contagiosità. Chiaramente non si tratta di contagio per prossimità, contatto o scambio di fluidi. Tuttavia, se al cibo associamo sentimenti quali la rabbia, l’ansia o la paura, con il tempo queste sensazioni possono trasmettersi alle persone a noi vicine. E queste ultime a loro volta hanno bisogno di supporto psicologico, come ricordato recentemente durante il World Eating Disorders Action Day 2022.
Più e più volte mi è capitato di perdere il controllo mentre passavo le notti in cucina, davanti al frigo, come in una sorta di trance. Ad un certo punto riprendevo coscienza, terrorizzato dal non sapere da quanto tempo stavo in quello stato, poi ricominciavo a mangiare. Durante i due anni di pandemia ho prima sfiorato l’obesità e poi sono sceso di peso fino a cominciare ad assumere alcuni atteggiamenti restrittivi.
Il giorno e la notte
Di giorno cercavo di tenermi lontano da alcuni alimenti, di notte le mie fami mi inducevano ad abbuffarmi. Alcune volte provo un senso di avversione verso la carne, troppo forte e sapida, e ho quasi paura di avvicinarmi al cibo. Il giorno dopo il conseguimento del mio dottorato ricordo di aver avuto un attacco di panico e di aver cercato di tirarmi su con della cioccolata. Il solo pensiero di poter provare piacere per quel pezzo di cioccolata mi ha scatenato un secondo attacco di panico. Tuttora sia l’idea di mangiare sia l’idea di non mangiare spesso mi suscitano ansia. Ma la consapevolezza è una grande alleata, e questo vale non solo durante la terapia, ma anche a livello pre-diagnostico.
Diagnosi negli uomini
I disturbi alimentari sono spesso poco diagnosticati e trattati, e in parte questo è dovuto al loro essere molto soggettivi ed individuali e quindi difficilmente classificabili. Questo fenomeno è maggiormente vero per gli uomini in quanto essi sono meno propensi a rivelare i propri sintomi a causa di vergogna, stigma sociale e pregiudizi che etichettano i disturbi alimentari come “malattie femminili”.
LGBTQIA+
L’idea che gli uomini affetti da DCA debbano necessariamente identificarsi come gay o bisessuali è totalmente erronea. Se da un lato è vero che alcuni studi indicano che all’interno della comunità LGBTQIA+ i disturbi alimentari si possono riscontrare tra gli uomini con maggior frequenza, gli stessi studi suggeriscono che gli uomini affetti da DCA siano in maggior parte eterosessuali. Tutti questi pregiudizi hanno reso difficile per molti uomini il farsi diagnosticare un disturbo alimentare. Per quanto mi riguarda posso dire che hanno frenato anche me dal parlare del mio rapporto con il cibo con amici e familiari. Ritornando a trattare della differenza tra sessi, sempre più studi confermano che i DCA siano un fenomeno che colpisce ampiamente anche gli uomini.
Varietà di dati
A supporto di questa tesi, l’American Addiction Centers stima che a livello globale gli uomini costituiscano circa un terzo dei 70 milioni di individui affetti da disturbi alimentari. Conclusioni simili sono state ottenute da ricerche della NEDA. Queste affermazioni possono sembrare in contrasto con altri studi epidemiologici. Le statistiche inerenti ai disturbi alimentari infatti mancano di organicità, e anche in Italia i dati del Ministero della Salute suggeriscono che gli uomini affetti da DCA siano tra un decimo e un ventiquattresimo dei casi totali. Tuttavia, sempre più articoli suggeriscono che il numero di uomini affetti da disturbi alimentari sia molto più alto di quanto ci si aspetti, senza contare l’aumento dei casi a causa della pandemia da Covid-19.
Se alla luce di queste informazioni ci aspettiamo che i dati nazionali sottostimino notevolmente il numero di casi maschili in Italia, a maggior ragione i primi aspetti su cui serve intervenire sono la prevenzione e la sensibilizzazione a riguardo.
Perché ho fatto fatica a parlarne
Il primo motivo che mi ha trattenuto dal parlare del mio comportamento è stato proprio il non sapere cosa fosse la bulimia. Eppure, anche dopo aver iniziato a capirlo, non chiedevo aiuto perché non pensavo di averne bisogno, non pensavo di averne diritto, non vedevo intorno a me casi simili e sminuivo il problema in quanto mi sentivo il solo ad averlo.
Al contrario, i disturbi alimentari negli uomini possono essere tanto gravi quanto lo possono essere per le donne. Un articolo pubblicato sulla rivista open access BMC Public Health indica la presenza di molte similitudini tra i sessi per quanto riguarda comportamenti subclinici quali il binge eating e atti compensatori. Negli uomini è stato osservato un tasso di mortalità tendenzialmente maggiore rispetto a quanto accade nelle donne, ma questo risultato è probabilmente condizionato dai molti casi non registrati. Altre differenze su come i DCA colpiscano persone di sesso diverso possono emergere come conseguenza dei diversi stereotipi legati ai canoni estetici e del diverso impatto che i social media hanno su un sesso o sull’altro.
Casi celebri e conclusioni
In conclusione, se da un lato lo stigma e la vergogna possono coadiuvare fortemente questa omertà maschile nell’aprirsi su questo tema, dall’altro l’aumento di casi registrati tra gli uomini può essere un indice non solo della crescita di questo fenomeno, ma anche della diminuzione di questi pregiudizi. Del resto con il tempo sono anche aumentati i casi di celebrità maschili che hanno dichiarato di aver sofferto di disturbi alimentari: Elton John, Dennis Quaid, Billy Bob Thornton, Eminem, Ed Sheeran. Da parte dei professionisti un primo modo per contrastare questa sottodiagnosi è lo sfruttare l’alta comorbidità che disturbi alimentari presentano con altri disturbi mentali quali la depressione, l’ansia o l’abuso di alcool o droghe. Da parte di tutti i primi mezzi che possono essere adoperati sono il riflettere sulle conseguenze dei pregiudizi di genere e il non vergognarsi nel chiedere aiuto.