“Il corpo cambiava, io non volevo”- intervista a Francesca Savorelli

francesca savorelli

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Francesca Savorelli, una donna, una mamma, una guerriera.

Ci ha fatto commuovere nel corso dell’intervista con le sue parole piene di forza, fragilità e speranza.

Dai disturbi alimentari si può guarire e si deve farlo per poter tornare a vivere

  1. Ciao Francesca prima di cominciare con l’intervista avremmo il piacere di conoscerti meglio, puoi raccontarci qualcosa di te?

Non è facile sintetizzare i miei 44 anni, ogni volta che devo farlo temo di perdere pezzi importanti di racconto che magari potrebbero essere d’aiuto ad altre persone, ma ci provo. Ho avuto un’infanzia apparentemente lineare ma in realtà impregnata di dinamiche familiari disfunzionali che mi avrebbero portato col tempo a rifugiarmi fin da piccola in comportamenti ossessivo compulsivi. Quando mi sono staccata dai rituali della mia infanzia ho portato la mia attenzione su cibo e corpo, un corpo che stava cambiando mentre io non ero pronta, e il cibo che mi sembrava la strada giusta per controllarlo: non avrei mai immaginato che tutto questo mi avrebbe portata a soffrire di un disturbo alimentare. Dopo un periodo di forte restrizione iniziato a 14 anni, ho scoperto la strada della compensazione con il vomito autoindotto, e sono entrata nelle spire della bulimia. All’epoca non c’era molta informazione in merito e per diversi anni mi sono sentita molto sola, anche se tra le mie coetanee stava aumentando in modo esponenziale il numero di ragazze che soffrivano di anoressia, binge o bulimia…purtroppo però parlarne tra di noi non faceva che peggiorare la situazione. Ho iniziato molto presto dei percorsi di psicoterapia, ne ho cambiati infiniti, cercando sollievo in tutte i possibili approcci che incontravo crescendo, ma non riuscivo a mollare la presa sul controllo ossessivo. Nel corso degli anni al sintomo bulimico si sono associati altri problemi come dipendenza affettiva, shoplifting, abuso di alcol…facevo di tutto per mettere a tacere il mio malessere, col solo risultato di accrescerlo e di portare avanti dei problemi che ho dovuto faticare a risolvere. In mezzo a tutto questo ho vissuto un matrimonio e la nascita di mia figlia. Il senso di responsabilità nei suoi confronti si è tradotto in un senso di responsabilità verso me stessa, e dopo il suicidio di un’amica che soffriva di DCA ed aveva una bambina dell’età della mia, ho sentito la spinta all’ennesima richiesta di aiuto, che a differenza delle altre si è rivelata risolutiva. Avevo trent’anni all’epoca e mi sembrava che non ne sarei più potuta uscire, ma l’incontro con Chiarasole Ciavatta mi ha ridato la speranza: lei stava bene, altre ragazze al centro Mondosole stavano bene. Potevo provarci davvero anche io. E magari riuscirci! Così è stato.

  1. Come è stato il tuo rientro in società dopo la malattia? Come ti sei sentita?

Il mio non è mai stato un vero “rientro” in società, perchè il centro in cui mi sono curata offre un punto d’incontro esclusivamente diurno, permettendo così a chi studia o lavora di continuare la propria attività e soprattutto di non vivere lo shock del “prima e dopo” la permanenza in una struttura. Di sicuro posso comunque dire che non è stato facile staccarmi dal sintomo bulimico proprio perchè ero visceralmente legata a quella modalità di che anche se mi faceva male, in qualche modo mi difendeva dal resto del mondo. Per questo dico sempre che quando si comincia a star meglio non bisogna assolutamente abbandonare la psicoterapia e le cure, perchè è il momento in cui si comincia davvero a lavorare su tutto ciò che, senza la stampella malata dei disturbi alimentari, crea disagio. E’ l’unico modo che conosco per evitare le ricadute. Questo non significa essere legati per sempre ad un terapeuta, perchè col tempo le sedute si diradano e si arriva anche a non averne più bisogno, ma solo dopo avere acquisito gli strumenti che servono per affrontare i problemi.

In quanto a come mi sono sentita, ricordo sempre una sera: ero in casa da sola, stavo guardando la tv. Fine del racconto. Per una persona che non ha sofferto di DCA è una serata qualunque, per me vedere che riuscivo a stare sul divano, da sola senza abbuffarmi, ma soprattutto senza desiderare di farlo, è stato come un miracolo. Ma non era un miracolo: arrivare a quel momento mi è costato parecchia fatica, ma lo rifarei mille volte.

  1. Come definiresti un disturbo alimentare? Quali sono, secondo te, le cause più frequenti che portano uomini e donne a soffrire di DCA?

Ci sono molte definizioni sul DSM V, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, che incasellano i Disturbi Alimentari in una determinata sintomatologia. E’ vitale ricordarsi che il DSM si avvale della statistica per sua stessa natura, e questo significa che in realtà lo spettro dei DCA è molto più ampio e contiene molto più di quanto troviamo scritto sul Manuale. Ci tengo a sottolinearlo perchè spesso le persone che vivono il malessere del disturbo alimentare tendono a “cercarsi” tra i sintomi, e non trovando una perfetta corrispondenza, pensano di non stare “abbastanza” male, e quindi scelgono di non chiedere aiuto. Un disturbo alimentare ha comunque la caratteristica di concentrare in modo ossessivo la propria attenzione su cibo e corpo, strappando la persona che ne soffre dalla propria vita.

Tutto ruota intorno al cibo o al modo per evitarlo, tutto dipende da un numero sulla bilancia, tutto è sofferenza: uscire, essere invitati a cena, stare soli, stare con gli altri, lavorare, studiare, occuparsi della casa e dei figli… Ogni cosa diventa terribilmente difficile perchè la voce nella testa che ti dice in modo imperativo cosa mangiare, cosa evitare, o cosa fare per compensare non smette mai, mai, mai di urlare. La realtà è che dietro a questo si celano disagi spesso non chiari nemmeno a chi li vive: la psicoterapia aiuta in questo senso a ripristinare quel cortocircuito, dando voce al vero malessere. Le cause possono essere molteplici, il più delle volte non ce n’è mai una sola, ma è piuttosto una serie di motivi a portare all’esordio del disturbo. Nel mio caso, ad esempio, c’erano dinamiche familiari controverse di affetto alternato ad episodi di violenza fisica e verbale, ma non solo: ho un’innata tendenza al perfezionismo, ho trovato un ambiente scolastico che la esaltava per cui nè a casa nè a scuola c’era margine di errore..ma non solo! Non ho mai avuto una rete di contenimento come quella dei nonni, degli zii e dei cugini perchè erano lontani e potrei andare avanti a lungo nel portare esempi. Anche quando la causa sembra molto lampante, come nel caso di un trauma evidente, in realtà ci sono tanti altri motivi che possono aver portato a soffrire di DCA. Per questo gli interventi terapeutici devono assolutamente essere dedicati al singolo individuo, alla persona, alla sua storia e alle dinamiche che ha vissuto e vive.

  1. I disturbi alimentari non sono dei capricci. Come mai è ancora difficile far comprendere la gravità dei DCA?


Purtroppo la gravità dei disturbi psichici è spesso sottovalutata. Per quel che riguarda i DCA ci sono ancora molti preconcetti legati all’apparenza, e la tendenza in assoluto è quella di ridurre il tutto ad un problema di peso, sottovalutando la sofferenza che vive chi ne soffre. Sembra facile, dall’esterno, risolvere il problema: basta mangiare/non mangiare/regolarsi. In realtà per uscirne occorre un lavoro profondo su di sè non solo dal punto di vista alimentare, ma anche e soprattutto da quello emotivo, cognitivo, relazionale.

  1. Quali sono i falsi miti che la società ha sui disturbi dell’alimentazione?


Ne elenco alcuni… E’ colpa della mamma (ogni storia è a sè, non si può generalizzare!); è colpa delle immagini proposte dai media (i mass media possono influenzare i gusti collettivi, ma non sono mai la causa principale); è solo un problema di bellezza (l’aspetto fisico è solo la punta dell’iceberg); ne soffrono solo le donne (ci sono moltissimi uomini che provano vergogna a parlarne, o  soffrono di forme di DCA ancora troppo poco conosciute); ne soffrono solo gli adolescenti…la lista potrebbe essere molto lunga! E’ importante ricordare sempre che i Disturbi alimentari hanno cause multifattoriali, e tutti possono esserne colpiti.

  1. Un consiglio che ti senti di dare a tutti i ragazzi e le ragazze che soffrono o hanno sofferto di un disturbo alimentare?

Per chi soffre, ripeto sempre come un mantra di chiedere aiuto. Anche solo parlarne con qualcuno può essere un inizio. Spesso mi capita di essere la prima persona a cui ci si rivolge in un momento di difficoltà, e cerco di fare il possibile perchè chi mi contatta trovi un minimo di conforto: accolgo le richieste, ascolto, e se posso indirizzo a psicoterapeuti e nutrizionisti specializzati in DCA. Non conosco altro modo di guarire se non quello di affidarsi a seri professionisti.
Alle persone che invece ne hanno sofferto, suggerisco con affetto di essere più morbide nel giudicarsi: si tende spesso a confondere comportamenti comuni con segnali di un ritorno della malattia. E’ importante mantenersi attenti, ma ricordiamoci che abbiamo superato uno scoglio che sembrava inaffrontabile e abbiamo tutti gli strumenti per superare i piccoli momenti no!

E l’ultima frase che voglio lasciare (anche se ancora piuttosto contestata da chi non ci crede!) è che è davvero possibile guarire. Lo è. E’ una speranza a cui vi consiglio di guardare con fiducia.

Contenuto a cura di Aurora Caporossi

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