L’immagine corporea con un DCA

l'immagine corporea con un DCA

Essendo i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) malattie prettamente mentali e psicologiche che coinvolgono il corpo, in questo articolo parleremo della connessione tra DCA e immagine corporea.

Voglio iniziare la mia riflessione con l’idea di Jacques Lacan, psicoanalista e psichiatra francese, in merito alla creazione della nostra immagine corporea. Lacan ci insegna una cosa molto importante che succede nei nostri primi 18 mesi di vita: lo stadio dello specchio.

Secondo la teoria di Lacan, ognuno di noi, nei primi 18 mesi di vita, riconosce la propria immagine riflessa nello specchio. In questa fase comprendiamo e ci accorgiamo quindi che quel riflesso è la nostra figura, con dei confini stabiliti. Da piccoli prendiamo coscienza di noi stessi attraverso l’immagine che ci permette di identificare il nostro interno con l’esterno. Secondo Lacan, lo stadio dello specchio garantisce un collegamento tra l’organismo e l’ambiente.

In questo modo, l’immagine che vediamo ci dà un’identità e ci aiuta a definirci nel mondo.

L’immagine corporea come nemica

Questa breve introduzione ci permette di capire il bisogno e la necessità che abbiamo, fin da subito, di identificarci in qualcosa. Questo automatismo è un processo naturale che fa parte di tutti noi sin dalla prima infanzia.

Ma l’immagine riflessa nello specchio molte volte può provocare un grave malessere. Questo è quello che succede alle persone che soffrono di DCA.

L’immagine corporea diventa lo strumento che utilizziamo per identificarci, per criticarci, per sentirci reali. L’immagine corporea si traduce come la percezione che abbiamo di ciò che siamo, di ciò che gli altri vedono di noi come esterni. È il nostro biglietto da visita, è lo strumento che abbiamo per farci riconoscere dagli estranei, è il nostro mezzo di comunicazione non verbale.

È una costante ricerca del reale, perché spesso ciò che chi soffre di DCA percepisce non lo è.

Ed ecco che il corpo e l’immagine che abbiamo di noi diventa un nemico.

Cosa si nasconde dietro ad un DCA

Da persona che soffre di un disturbo alimentare da molti anni ho capito solo poco tempo fa l’immenso mondo che c’è dietro all’immagine corporea. Per questo devo ringraziare le mie psicologhe e le mie amiche con cui sto affrontando una terapia di gruppo per migliorare questa relazione tossica con me stessa.

Quando il nostro corpo diventa un estraneo sfugge anche la razionalità. Non per niente si parla di dispercezione corporea, tradotta come l’errata percezione della forma e della dimensione del nostro corpo.Quando la malattia comanda i nostri occhi, oltre al nostro cuore, soffrono.

L’attenzione e il peso che diamo alla nostra immagine diventano un’ossessione, diventano l’unica cosa importante. Il nostro corpo appare brutto, estraneo, troppo grande. Anche quando quel numerino sulla bilancia continua a scendere. Più diventa piccolo e più lo sentiamo grande. 

Gli atteggiamenti da mettere in atto per controllare questo fenomeno continuano a ronzare nella nostra testa. La nostra malattia vuole controllare la parte esterna di noi, e noi, nella confusione più totale, la ascoltiamo.

Emozioni, comportamenti, sensi e pensieri si riversano nel corpo.

Foto, specchi, vestiti, bilancia, confronti. Tutto si riduce a questo.

La perdità di identità e il rifugiarsi nell’immagine corporea riflessa

Tutto quello che sono si identifica nel mio corpo. Non trovando più la mia vera identità, non riconoscendomi più a causa della malattia, utilizzo il mio corpo come unica cosa che posso vedere e toccare, come unica cosa che mi rappresenta.

Ed ecco che spuntano le conseguenze dell’estrema attenzione corporea.

Vergogna, rabbia, ripudio, tachicardia, tristezza, ansia, odio, paura, colpa, imbarazzo, dolore, disgusto, delusione, estraneità sono tutte emozioni che ci tartassano costantemente.

Non mi riconosco, non mi riesco a guardare, non riesco a stare in contatto con quello che vedo. Mi focalizzo sulle forme, sul peso, sulle dimensioni. Mi scannerizzo, trovo difetti, cerco di controllare.

Se il corpo cambia è difficile toccarlo o guardalo. È difficile accettarlo.

Il problema è che finché non affronteremo questa parte del disturbo sarà difficile abbandonare certi comportamenti. Quando l’umore cambia in base alla dispercezione del mio corpo qualcosa deve essere rivisto.

Chiedere aiuto per ri-conoscere la propria immagine corporea

Io non mi ero mai posta il problema prima di entrare in terapia. Quello che vedo io è la realtà.

Ma dopo aver accettato l’aiuto proposto per affrontare le mie paure più grandi, ho capito che dietro ad un corpo c’è tanto altro, c’è molto altro. Dietro ad un corpo c’è tutto.

Il corpo è la crosta terrestre. Ma noi siamo il nucleo. Senza il nucleo, tutti gli altri strati non esisterebbero e non funzionerebbero.

La lotta è costante, ma il cambiamento e la guarigione esistono.

Chiedere aiuto non è sintomo di debolezza. Chiedere aiuto è sintomo di coraggio e di consapevolezza. Come da piccoli prendiamo coscienza della nostra immagine è indispensabile prendere coscienza di quello che ci sta succedendo. La sofferenza è un sentimento forte ed estremamente utile. E quando arriva va percepita, ascoltata, accettata. Ma va anche studiata e contrastata.

Possiamo lottare. Possiamo guarire.

E guariremo.

L’articolo è stato scritto da Ilaria, volontaria dell’Associazione

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