L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 1998) sostiene che il metodo più diffuso per la diagnosi di obesità sia la valutazione dell’Indice di Massa Corporea (IMC o BMI per Body Mass Index) per la popolazione adulta.
IMC: cosa è e come si calcola
L’IMC consiste nel rapporto tra il peso e la statura del soggetto elevata al quadrato (kg/m2). È stato teorizzato da Adolphe Quetelet, astronomo e statista belga che ha definito le caratteristiche fisiche “dell’uomo medio” sulla base di un censimento del 1832. Nel 1972 il fisiologo Ancel Keys, partendo dalla formula ideata da Quetelet, coniò il termine ufficiale di “Body Mass Index” durante i suoi studi epidemiologici sull’obesità. Ancel Keys, medico ed epidemiologo nutrizionale, ha identificato questo rapporto come un proxy adatto a determinare le percentuali di grasso corporeo nella popolazione. Dal 1972, oltre 150.000 articoli di importanti riviste scientifiche hanno fatto riferimento all’Indice di Massa Corporea nel loro testo.
L’obiettivo di questo indicatore è quello di creare dei parametri minimi e massimi di salute in base all’altezza del soggetto. Tutti i risultati inferiori o superiori a tali parametri comporterebbero infatti un determinato numero di possibili patologie o malattie. L’IMC è uno strumento che, partendo da un’indagine statistica, permette di predire il rischio di malattia e mortalità. Questo indicatore non nasce come uno strumento per dare valutazioni estetiche, nonostante si sia poi diffuso come tale in certi contesti. Inoltre, cosa fondamentale, non corrisponde in automatico a condizioni di presenza o assenza di salute. I concetti dicotomici sono, in medicina, estremamente fuorvianti, così come è fuorviante pensare di poter interpretare un dato come l’IMC solo per la sua facilità nell’essere calcolato.
Oltre l’IMC
Una relazione dell’Istituto Danone sul tema dell’obesità e della nutrizione ha evidenziato come l’IMC sia uno strumento fondamentale per tutti gli studi di popolazione a livello epidemiologico.
Allo stesso tempo, esso, oltre alla sua utilità in ambito di screening, non è (se preso da solo) idoneo a diagnosticare l’obesità, ovvero un eccesso di adiposità, data la sua tendenza a trascurare innumerevoli fattori. La stessa relazione conclude specificando che:
“È quindi necessario considerare che oggi la diagnosi di obesità deve necessariamente passare attraverso l’analisi della composizione corporea, la quale prende in considerazione il rapporto tra i diversi costituenti del peso corporeo: tessuto adiposo, massa magra, compartimento minerale e fluidi extracellulari e permette inoltre di definire in modo preciso la distribuzione del grasso, quantificando l’entità di grasso viscerale.”
È inoltre fondamentale ricordare che, essendo l’obesità una condizione multifattoriale, non basta considerare solo l’aspetto della composizione corporea di per sé. Bisogna anzi necessariamente tenere in considerazione anche i fattori psicologici, ambientali e sociali che influenzano lo stato di salute della persona.
Un calcolo solo parziale
Roxanne Gay, nel suo libro “Fame. Storia del mio corpo”, racconta la sua vita di donna donna con obesità. Spiega in particolare, con il suo tono provocatorio e schietto, cosa sia l’IMC e quali problematiche si nascondano dietro ad esso.
“La sigla «IMC» ha un suono così oscuro e disumano che mi viene sempre una gran voglia di ignorare quell’unità di misura. Ciononostante è una sigla, e un’unità di misura, che permette all’establishment medico di provare a insegnare la disciplina a corpi indisciplinati. I’IMC di un individuo è il suo peso in chilogrammi diviso per il quadrato della sua altezza in metri. […] In realtà, molte definizioni mediche sono arbitrarie. E pazienza se nel 1998 gli operatori sanitari, sotto la direzione del National Heart, Lung, and Blood Institute, abbassarono la soglia dell’IMC per i corpi «normali» sotto il 25, raddoppiando cosí il numero degli americani obesi. Una delle loro ragioni per l’abbassamento del limite: «La gente farà meno fatica a ricordare un numero tondo come 25».”
Il problema della parzialità
Come già accennato in precedenza, il principale problema dell’IMC è la sua parzialità. Esso non fornisce ai medici un quadro sufficientemente completo per poter comprendere la situazione di un paziente. Di fatto, l’IMC individua solamente il peso ideale in base all’altezza del soggetto.
Questo indice è, di conseguenza, utilizzato in maniera grossolana, in quanto non prende in considerazione fattori come il sesso o le caratteristiche morfologiche di base. Alcuni esempi sono larghezza delle spalle, larghezza ossea del bacino, circonferenza cranica, rapporto tra lunghezza delle gambe e lunghezza del tronco.
Fondamentale è poi il fatto che questo indicatore non è in grado di fare una distinzione tra massa grassa e massa magra. Riguardo alla mancata differenziazione di calcolo tra uomini e donne, essendo questo calcolo non in grado di considerare età e sesso, il problema nasce quando l’IMC non viene associato alle altre caratteristiche fisiche. Considerando solo l’IMC, infatti, nelle donne si rischia di sovrastimare l’effetto della massa grassa in quanto:
- gli uomini accumulano più facilmente grasso addominale – più pericoloso per la salute e il rischio cardiovascolare.
- le donne hanno frequentemente un accumulo su glutei e fianchi (accumulo ginoide) con minor impatto sulla salute.
Indubbiamente, nel momento in cui il calcolo IMC non presenta un’adeguata differenziazione tra generi, il suo utilizzo può avere delle implicazioni in ambito clinico e diagnostico. Per esempio, molti sistemi diagnostici prevedono, come criterio di valutazione della presenza o dell’assenza della possibilità di sviluppare determinate malattie nel DNA dell’individuo. Di conseguenza è possibile che un soggetto di genere maschile con un IMC di 17 (classificato come sottopeso) abbia un DNA con severità differente rispetto ad un soggetto femminile con lo stesso IMC, a causa di tutte le differenze fisiologiche e morfologiche già citate.
L’importanza della differenziazione tra generi
Questo discorso sulla differenziazione tra uomo e donna è fondamentale nel processo di diagnosi. Permette infatti di evitare errori diagnostici e, di conseguenza, di trattamento delle cure. È molto frequente, per esempio, che un soggetto maschile possa presentare uno stato di severa denutrizione, anche qualora non raggiungesse il limite per il sottopeso stabilito in base all’IMC nella popolazione femminile.
È perciò già evidente come l’IMC abbia una valenza solamente parziale nell’analisi e nella diagnosi di condizioni di obesità o di sottopeso. Come tutte le misure antropometriche, l’IMC è solo una misura surrogata della massa grassa.
A sostegno di questa tesi uno studio di A. M. Prentice e S. A. Jebb del 2001 presenta un’ampia gamma di condizioni in cui le misure antropometriche surrogate (in particolare il BMI) forniscono informazioni fuorvianti sul contenuto di grasso corporeo.
Queste includono:
- l’infanzia e la fanciullezza;
- l’invecchiamento;
- le differenze razziali;
- gli atleti;
- il personale delle forze armate e civili; l
- a perdita di peso con e senza esercizio fisico;
- l’allenamento fisico e circostanze cliniche particolari (come per esempio la gravidanza).
IMC e razzismo: una connessione possibile?
Allo stesso modo è fondamentale sottolineare come l’IMC, così come molti altri indicatori, può essere soggetto all’influenza di costrutti umani come il razzismo. Uno studio dell’American Journal of Preventive Medicine ha indagato come il razzismo strutturale possa essere una delle cause di disparità di trattamento all’interno dei sistemi di sanità americani. Lo studio ha sviluppato una scala multi-fattoriale che misura il razzismo nelle contee degli Stati Uniti e il suo collegamento con il calcolo dell’IMC.
“Il razzismo strutturale della contea è stato associato a un IMC più basso. Il razzismo strutturale e la razza nera hanno mostrato un’interazione qualitativa con l’IMC. Per cui il razzismo è stato associato a un IMC più basso nei bianchi e più alto nei neri. In un’ulteriore analisi di interazione, il razzismo strutturale della contea è stato associato a un aumento maggiore dell’IMC tra gli uomini neri rispetto alle donne nere. Il razzismo strutturale della contea è stato associato a una riduzione dell’IMC per gli uomini bianchi e a nessuna variazione per le donne bianche.”
È perciò evidente come, spesso, la valutazione dell’Indice di Massa Corporea sia necessariamente influenzata da costrutti latenti come il razzismo. Questo porta a valutare con un IMC più alto le persone nere senza tenere in considerazione elementi genetici, alimentari, abitudinari e di adattamento all’ambiente.
IMC e DCA
Il risultato dell’utilizzo di strumenti e indici di misurazione del “peso forma” che non hanno una visione olistica dell’individuo è quello di considerare sovrappeso o sottopeso persone che, per un qualsiasi motivo, non rientrano nei parametri considerati “sani” in proporzione alla propria altezza.
Nella cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) considerare solo l’IMC può portare a gravi mancanze nel percorso medico e terapeutico. I DCA, infatti, sono disturbi multifattoriali che trovano un’espressione nel corpo dei soggetti che ne soffrono e sarebbe sbagliato considerarli solamente come il numero risultante dal calcolo kg/m2. Inoltre, molto spesso, viene preso in considerazione solo l’IMC per definire se la persona necessità di un trattamento medico specializzato.
È importante ricordare, in questi casi, che si può soffrire di un Disturbo del Comportamento Alimentare (e quindi aver diritto a cure mediche adeguate) anche rientrando in quei parametri considerati “normopeso” nella scala IMC. Allo stesso modo, considerare solo il risultato del calcolo dell’IMC nella diagnosi di DCA può portare a diagnosi errate o solo parziali. Spesso, infatti, un’alta percentuale di persone con obesità (e quindi con IMC elevato) vengono semplicemente classificate come in sovrappeso o obese, senza affatto considerare la possibilità che questa condizione dipenda da un Disturbo del Comportamento Alimentare.
Per coloro che soffrono di un DCA, inoltre, è spesso normale paragonarsi ed aspirare ad una forma corporea basata sulla magrezza. Rendersi dunque conto che il modello osservato è estremamente idealizzato e irrealistico può essere un aiuto nel percorso di recovery. Così come può essere d’aiuto comprendere i meccanismi sociali che stanno dietro alla categorizzazione dei corpi e all’aspirazione ossessiva alla magrezza che caratterizza la contemporaneità. Capire di essere parte di un sistema più grande, di essere costantemente influenzati da parametri culturali e sociali irrealizzabili può essere un punto di svolta nel percorso di guarigione.
Per una società più inclusiva
Gli studiosi sostengono che l’IMC continua a essere utile per molti scopi, ma che sia giunto il momento di avviare un’evoluzione graduale che vada oltre questo parametro per raggiungere standard basati sulla misurazione effettiva della massa corporea.
L’IMC è un costrutto intrinsecamente sessista, razzista e discriminatorio nei confronti delle minoranze. Solamente superando l’ostacolo che esso crea è possibile far nascere una nuova società più inclusiva e che garantisca un servizio sanitario valido per tutte le persone. Queste non devono più essere considerate come il numero rappresentato nella tabella dell’IMC. Devono piuttosto tenute in considerazione nella loro totalità, in ogni singolo aspetto della loro vita.
L’articolo è stato scritto da Federica, volontaria dell’Associazione
Bibliografia
https://www.sculati.it/media/sovrappeso_obesita.pdf#page=20
R. Gay, Fame. Storia del mio corpo, Einaudi Editore, 2018
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6469873/
https://www.auxologico.it/bmi-indice-massa-corporea-quando-peso-basta