Il cibo per me ha sempre rappresentato un modo per riempire le mie mancanze.
Mi sono sentita sempre troppo poco, sono stata mortificata perchè ero poco intelligente, poco sveglia, poco bella, poco simpatica… Ero sempre troppo poco per tutto e tutti.
Ho subito così tanto bullismo e prepotenza che, se ora ci penso, nonostante gli anni siano passati, sono ancora capace di mettermi a piangere.
Non ho mai avuto né la voce, né la forza per difendermi, così mi tappavo la bocca mangiando: mangiavo il mio essere stupida, mangiavo il mio essere brutta, mangiavo il mio essere appiccicosa, mangiavo il mio credere a undici anni di essere un fallimento in tutto, come se la vita si fermasse a undici anni…
Ero arrivata ad un punto della mia esistenza in cui ho sofferto di obesità e per un po’ non mi è importato, finché da adolescente mi si instillò la paura di rimanere da sola.
Avevo iniziato a vedere il mio corpo come un ostacolo. “Se fossi rimasta così nessuno mi avrebbe mai voluta” – pensavo.
Così iniziai a convincermi che alla fine tutti i problemi della mia vita derivavano dal mio peso, se io fossi stata magra la mia vita sarebbe stata più semplice.
Non mi rendevo conto che quella fasulla credenza in realtà non era altro che il primo sintomo di qualcosa di più grande.
Iniziai a soffrire di bulimia quando avevo quindici anni.
Ero entrata in un circolo vizioso: digiunavo, mi abbuffavo, mi svuotavo e riniziava il ciclo.
In quegli anni avevo sperimentato tutte le diete possibili, ero convinta di avere il controllo, di poter smettere quando volevo, ma ovviamente non è stato così.
A diciassette anni ero a pezzi, sempre stanca, sempre esausta.
La prima persona con cui ne parlai fu una mia amica che poi si mise a piangere e io mi sentii terribilmente in colpa.
Gli ultimi anni del liceo li passai a dormire tra un episodio e l’altro. Andavo a scuola e quando tornavo dormivo fino all’ora di cena, mangiavo e mi rimettevo a letto.
L’arrivo del Covid-19 per me è stata la scusa per andare in letargo.
Di questo periodo della mia vita, non ricordo niente.
Quando mi trasferii a Bologna per gli studi mi ero convinta che sarei riuscita a guarirmi da sola, “bastava solo un po’ di buona volontà” – mi dicevo.
Ovviamente non fu così, anzi, durante i primi mesi a Bologna peggiorai.
A Gennaio del 2022 iniziai un percorso presso l’ambulatorio DCA del Maggiore. Questo passo però non lo feci da sola, ci fu Anna, il mio angelo custode, che lo fece con me. L’avevo conosciuta un mese prima, ma eravamo così tanto in sintonia che sembrava che Dio ci avesse fatte sorelle d’anima.
Con lei feci la prima chiamata al centro. Avevo paura, ero in ansia, ma mentre chiamavo la mia Anna mi teneva la mano.
Quello fu l’inizio di tutto, un percorso che tutt’ora ha degli alti e dei bassi, ma sapevo che non sarebbe stato semplice uscirne.
La terapia e le nuove consapevolezze
Sono in cura da un anno ormai, e durante questo periodo ho scoperto tante cose su me stessa.
Il mio psicologo diceva che io mi mangiavo le mie emozioni: anziché dare loro la dignità di esistere, le sopprimevo.
Io che mi sono sempre considerata una persona spontanea, mi sono trovata a scontrarmi con una narrazione che sembrava non appartenermi.
Andavo alle sedute e scoprivo un’altra persona, così ho capito quanto in realtà la mia malattia non fosse che un modo per proteggermi.
Negli anni avevo imparato a costruirmi una felicità isterica.
Non mi permettevo di essere triste o arrabbiata, io dovevo sempre sorridere, dovevo tapparmi la bocca e farmi mangiare dal mio passato.
La verità è che la bulimia mi stava aiutando a stare a galla.
Questo lo capì proprio la sera del 27 Ottobre 2022. La mia vita cambiò in cinque minuti.
Ricevetti una brutta notizia, misi giù il telefono e mi sedetti sul divano iniziando a piangere a dirotto sperando che quella disperazione scomparisse.
Ormai nemmeno il cibo poteva riempire quel vuoto che sentivo, era come se ci fosse una emorragia d’anima e così andai in sovradosaggio di farmaci (li prendevo per la terapia farmacologica).
La mia coinquilina chiamò l’ambulanza. In ospedale ricordo che mi fecero un sacco di esami, rischiavo un attacco cardiaco. La psichiatra che venne a visitarmi disse che stavo vivendo un evento traumatico. I miei amici vennero a tenermi compagnia. Nella cartella ci fu scritto “La paziente in prossimità degli amici dimostra un ottimo slancio vitale”.
La paura di rimanere da sola scomparve quel giorno quando capii quanto fossi amata dalle persone che avevo intorno.
I miei amici erano lì, mi volevano bene e mi stavano vicino.
Quella fu la mia prima notte in ospedale. Ero martoriata, avevo gli occhi gonfi, ero stanca, spossata, ma ricordo che per la prima volta mi amai.
Non riuscivo a dormire e ho iniziato a pensare a tutto quello che mi era successo nella vita che mi aveva portata in quel letto.
Ho iniziato a baciare la mia mano e a chiedermi scusa.
Il mio corpo sopportava così tanto da così tanti anni, eppure era ancora lì che mi stava dando la possibilità di vivere, di riprendermi, di stare in piedi.
Per la prima volta nella mia vita ho amato intensamente il mio corpo.
Non era atletico, non era perfetto e l’ho sempre condannato per questo, però compresi quanto fosse forte e meraviglioso, così mi presi l’impegno di amarmi e amarlo intensamente.
Siamo molto di più
Non è mai semplice parlare dei disturbi alimentari, raccontare di come sono iniziati.
La verità è che ci si ammala piano piano, nemmeno ce ne si accorge; un giorno ti guardi indietro, provi a fermarti, ma ti rendi conto che hai perso il controllo della tua vita.
Poi però guardi avanti, vedi di quanto amore sei circondata e non puoi fare altro che sorridere ed essere grata.
Mi chiamo Zoulikha, ho vent’anni e soffro ancora di bulimia, ma non sono la mia malattia.
Nella vita faccio tante cose. Studio filosofia, nutro un grandissimo amore per la letteratura, il mio sogno nel cassetto è diventare una scrittrice e poter vivere di quello.
Ho mille interessi, talmente tanti che ho una lista che me li ricorda tutti.
Io sono tante cose, ma davvero tante, e ora credere di poter essere ridotta ad un numero sulla bilancia mi fa solo tanta tenerezza.
L’articolo è stato scritto da Zoulikha, volontaria dell’Associazione, che ha raccontato la sua storia