Capita spesso: qualcuno ci parla con un tono affettuoso, ci offre un suo “consiglio”, che a prima vista sembra premuroso… e invece, sotto sotto, lascia una puntura fastidiosa. Non è cattiveria pura, ma un mix di giudizio, controllo e incapacità di lasciare spazio. Succede nelle famiglie, nelle relazioni, nei commenti online e persino nella vita professionale.
Un consiglio, quando è sano, ti apre possibilità.
Un “consiglio” travestito da critica, invece, ti stringe. Ti mette in dubbio. Ti fa sentire piccol*.
Ed è proprio questo il punto: non è tanto la frase, ma il messaggio implicito.
“Consigli” comuni
- “Che ci vai a fare dallo psicologo? Ai miei tempi non ci andava nessuno”. Sembra qualcosa detto con nostalgia e leggerezza, ricordando un tempo nel quale si aveva la percezione che andasse tutto bene, per lo meno per quel singolo e le sue risorse del tempo. In realtà ciò che fa questa frase è invalidare il contesto nel quale vivi. Per chi vive un DCA, questa frase può alimentare il pensiero disfunzionale che ci fa sentire sbagliati e rende più difficile richiedere e accettare aiuto.
Ogni tempo ha le sue realtà, le cose possono cambiare, evolvere e abbiamo bisogno di risposte coerenti con il contesto e le abitudini attuali.
- “Lo dico per il tuo bene: dovresti perdere peso” . E’ una frase che fa male, che ferisce dolorosamente chi la riceve. E’ un seme che germoglia nella persona facendole credere di essere sbagliata, facendole pesare il proprio corpo, la sua forma, lo spazio che occupa come qualcosa di negativo, sbagliato, fuori posto. Sotto il “bene” e il salutismo tossico si nascondono stigma, controllo, pressione estetica. Per chi soffre di un DCA, può essere un fattore di mantenimento dei sintomi disfunzionali e dei pensieri ossessivi che stanno cercando di lasciare andare.
- “Al tuo posto non farei tante storie con il cibo, tanto non hai problemi di peso” . Tradotto: ciò che pensi, che vedi e/o percepisci non è valido, non è giusto perchè io non lo vedo, quindi non esiste neanche per te. Questo non fa altro che minimizzare il vissuto della persona, soprattutto quando ha una visione distorta del proprio corpo, mandandole due messaggi pericolosi: “ti fai troppi problemi” e “non stai abbastanza male, altrimenti riusciremmo a vederlo”. Tutto ciò è tossico e fa sentire poco visti e incompresi. Quando vivi un disturbo alimentare, ogni situazione è complessa: emozioni, corpo, ansia, ambiente… nessuno può sapere cosa significhi essere “al tuo posto”.
- “Io alla tua età mangiavo quello che c’era, mica stavo a pensarci.” Qui come prima torna quella nostalgia di un passato idilliaco, facile sotto alcuni aspetti, che ha visto cose ben peggiori dei tuoi problemi attuali. Il messaggio è “sei troppo sensibile, troppo fragile, troppo tutto.” Il contesto è cambiato, le pressioni sulla persona sono differenti e il modo di affrontare la salute mentale pure. Essere sensibili a queste cose non è debolezza, significa riconoscere una difficoltà e avere il coraggio di sentirla e scegliere di affrontarla.
Perché queste frasi fanno così male?
Perché arrivano da persone importanti, in momenti inopportuni, spesso non richiesti. Esponendoti al giudizio, al commento, al rimuginio.
Perché toccano proprio i punti più vulnerabili: corpo, cibo, salute mentale. Perché nella maggior parte dei casi non lasciano spazio a una risposta, solo a una sensazione di essere sbagliat*.
E soprattutto perché arrivano nel momento peggiore: quando sei a tavola, già bombardat* da stimoli, odori, aspettative e tensioni sociali.
Cosa distingue i consigli sani dai giudizi travestiti
Un consiglio sano:
- Ti lascia spazio per parlare, raccontarti, per capire cosa ci sia che non va perchè ha intuito qualcosa.
- Non ti giudica, né il tuo pensiero (anche se non lo condivide), né il tuo corpo, né la tua reazione, né la tua difficoltà.
- Non vuole controllarti, invalidarti e denigrarti.
- È attento alle parole che usa, dice la sua opinione con riguardo della tua sensibilità.
Un giudizio travestito da consiglio invece fa tre cose: ti paragona, ti corregge, ti controlla.
E crea distanza proprio dove servirebbe vicinanza.
Come proteggersi da questi finti consigli?
Ricorda che non sei sbagliat* se ricevi questi giudizi.
Il problema è il modello culturale obsoleto nel quale siamo inserit*, basato su controllo, vergogna, senso di colpa e tabù.
E’ importante capire che spesso dietro quelle buone intenzioni può esserci paura, abitudine, poca consapevolezza. La cosa migliore in questi casi è quella di educare, costruendosi strumenti per rispondere a tono ai commenti scomodi o ignorandoli cambiando discorso.
Disinnescare questi meccanismi con chi vuole amorevolmente farci la “paternale” non significa accusarli, né dargli poco valore, ma vuol dire proteggersi e rispettarsi, delimitare i propri confini.
Chi ci ama avrà a cuore di rispettare sempre i nostri confini, dandoci il permesso di prendere spazio e di crescere restandoci accanto.
Fonte
https://www.instagram.com/p/ DQHTZaiDIi6/?img_index=2
L’articolo è stato scritto da Ivana, volontaria dell’Associazione




