La storia di Claudia: un cammino verso la serenità

Raccontare la propria storia può sembrare una cosa banale, ma non lo è affatto, soprattutto se si deve parlare di un periodo buio… 

Ciao a tutti i lettori, mi chiamo Claudia, ho 22 anni e voglio ringraziarvi tanto se vi prenderete qualche minuto per leggere questa mia confessione

L’origine

I miei problemi a prima vista potrebbero esser fatti risalire alla prima superiore, ma la realtà è che certi pensieri erano presenti in me già da moltissimo tempo.

Sono sempre stata una ragazzina super sportiva, ho provato tantissime attività diverse: nuoto (fin dai primi anni di vita), ginnastica artistica (il mio grande amore), pallavolo, kick boxing ecc. e per questa ragione il mio fisico è sempre stato muscoloso.

Ricordo una piccola Claudia alle elementari che al mare già si faceva problemi a mettersi in costume, che voleva i pantaloncini da maschio e il costume intero per poter essere il più coperta possibile, ma questo le veniva vietato perché “Altrimenti non ti abbronzerai la pancia e le gambe… Non essere quella strana, fai come tutte le altre bambine!”. 

I miei genitori non avevano tutti i torti, però forse in quel momento le parole che avrei voluto sentirmi dire sarebbero state diverse.

Sono figlia unica e forse anche per questo tutte le attenzioni e le aspettative si sono concentrate su di me, non si può biasimare un genitore che vuole il meglio per la figlia.

A scuola sono sempre stata molto brava, la “secchiona”. Mi impegnavo tantissimo e avevo ottimi risultati. 

La pressione da parte di mia madre era sempre tantissima: ricordo un’estate in cui mi aveva portato a fare ripetizioni di inglese e francese perché la mia media era del 9 e quindi poteva migliorare ulteriormente.

Con questo non voglio incolpare mia mamma, il problema è arrivato quando questi pensieri sono stati introiettati da me stessa, quando io ho iniziato a pensare di non valere mai abbastanza, che non ero brava, bella, intelligente abbastanza.

L’anoressia inizia a farsi vedere esteriormente 

L’inizio della parte più “fisica” della malattia, come dicevo, risale alla prima superiore.

Spesso mi è stato chiesto “Come mai ti sei ammalata?” e a questa domanda è sempre complicato rispondere; le cause sono tantissime. Solo dopo tanta terapia sono riuscita a trovare i nessi tra la mia vita e la mia malattia e probabilmente non sono nemmeno riuscita a coglierli tutti. 

È una domanda molto personale, che va a scavare nel profondo e forse non sarò mai disposta a condividere interamente le motivazioni, che per ora ci tengo a custodire dentro di me.

Non voglio soffermarmi troppo sul periodo buio, posso solo dire che il mio desiderio era quello di scomparire.

Il mio era un modo per chiedere aiuto, soprattutto per riuscire a sospendere questo giudizio negativo che ormai mi ero stampata addosso da sola e che non mi lasciava più respirare, o meglio, non mi lasciava più mangiare.

Ho molti ricordi tristissimi, alcuni ancora super nitidi, mentre altri pian piano stanno svanendo, forse anche come una sorta di “difesa” messa in atto dal mio cervello per tutelarmi. 

La lenta risalita

La risalita è avvenuta dopo aver toccato il fondo, dopo essermi sentita male mentre camminavo, cosa che ormai facevo per ore, dopo essere stata imboccata da mia madre mentre entrambe piangevamo, dopo aver provato a mangiare una pizza ed essere corsa in bagno perchè il mio stomaco era fisicamente impossibilitato a trattenerla. 

È iniziato il mio percorso di recovery, seguita da uno psicologo e una nutrizionista.

Qui vorrei fermarmi un attimo per sottolineare l’importanza di formare questi professionisti in modo adeguato quando si tratta di DCA; lo posso affermare perché ho provato su me stessa cosa significa la mancanza di empatia che invece dovrebbe necessariamente accompagnare la competenza scientifica; l’importanza di quello che viene definito il “lato umano”. 

La malattia mi ha tolto tanto: mi ha fatta allontanare da tantissime persone, mi ha tolto moltissime opportunità di viaggiare e di vivere momenti spensierata; mi ha levato la possibilità di fare sport per diverso tempo, mi ha fatto cadere i capelli e ha fatto soffrire enormemente i miei parenti…

Sono stata una ragazza fortunata, ho avuto la mia famiglia sempre vicina e se devo trovare un lato positivo nella mia malattia è certamente il nuovo rapporto instaurato con i miei genitori.

Aver visto la loro presenza sempre al mio fianco e per loro aver visto la figlia così sofferente, ci ha uniti moltissimo e ognuno di noi ha imparato tanto. 

La storia potrebbe andare avanti ancora per molto, magari un giorno vorrò completarla, ci sarebbe da parlare di molte ricadute, di piccoli traguardi, pianti, difficoltà… 

Ma lo spazio di un post è limitato, dovrei forse scrivere un libro.

Fallo per te stesso! 

Vorrei rivolgermi personalmente a te lettore, soprattutto se ti trovi nella mia situazione di qualche anno fa: se c’è una cosa che ho davvero imparato è che tutto dipende da noi stessi.

Le persone accanto possono fare la differenza, questo è vero, ma la svolta si ottiene solo quando la si vuole davvero.

Quando ho iniziato a reagire l’ho fatto per i miei genitori, perché li vedevo piangere ogni giorno: vedevo mio padre che non usciva più con i suoi amici e mia madre che era sempre preoccupata (se per caso leggerete mai questo post, vi voglio tanto bene mamma e papà); qualcosa pian piano si muoveva nel verso giusto, ma ancora a rilento.

Solo quando è arrivato il pensiero “Basta, ora lo faccio PER ME, perché voglio guarire e tornare a stare bene” la situazione è veramente cambiata. 

Non è stato facile, per niente, ma l’importante è fare uno step alla volta, non pretendere di arrivare subito all’obiettivo finale! 

Ogni gradino ti avvicinerà alla meta, ogni piccolo traguardo è fondamentale, e per questo bisogna essere fieri di sé. 

Ricordo che avevo attaccato in camera mia un bigliettino con su scritto:

“Quando le cose non vanno per il verso giusto, ricordati da dove sei partita e cosa hai già fatto fino ad ora”

Una frase che avevo letto da qualche parte e che nei momenti bui era un reminder per aiutarmi a non mollare del tutto e per tornare a focalizzarmi sul mio bene.

Oggi io sto molto meglio, sicuramente mi porto ancora dietro qualche piccola difficoltà legata alla malattia, ma continuo a lavorare su me stessa perché so che in questo modo, un giorno mi sentirò davvero libera al 100%.

Auguro anche a te che mi stai leggendo di ritrovarti, di tornare a volerti bene e di riacquistare la serenità che meriti, davvero. 

Claudia 

Contenuto a cura di Animenta

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Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

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(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

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Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
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