La primavera è come un’ora di silenzio. Una di quelle ore lunghissime, quasi infinite, ma soprattutto lente, introspettive. Un’ora di crisi eterna, l’ora della ricostruzione di sé, del coraggio, della ricerca del Sole.
Mi chiedo spesso perché io mi senta costretta a cambiare col variare delle stagioni, mai uguale, sempre in movimento, oscillo come una pianta al vento, ma le mie radici continuano a staccarsi. La mia ora è confusa, è distratta, non puoi concentrarti. Ti costringe a stare sempre sull’attenti, cammini sull’orlo di un burrone, ma lo fai illuminata dal Sole, con la testa alta, perché è così che devi fare. L’alternativa è solo cadere e allontanarsi dal Sole.
Niente Sole nella mia ora di silenzio. Nella mia ora di silenzio la sensazione è quella che manchi una colla che tenga insieme i pezzi. Mi sento una costruzione precaria che ad ogni passo rischia di crollare. Il Sole non aiuta a legare i pezzi, rende solo più visibili le crepe che ci sono tra di essi.
Il Sole continua a mettermi in discussione e ad illuminare troppo le mie ferite, i miei danni, le mie paure, incertezze, gli inganni, il mio sentirmi impotente. Sarà perché la mia guarigione è iniziata proprio in primavera e guarire vuol dire che qualcuno ha puntato una torcia simile al Sole su di te. Ha messo in risalto quelle cicatrici che vivevano all’ombra. Sarà per questo che, ogni anno, a primavera, rivivo questo processo di fioritura che continua a farmi soffrire.
La primavera è diventata come un rito per me.
Un rito di purificazione. Un rito di luce necessario per quanto mi faccia soffrire. Guardare le ferite farà sempre male. Guardare la verità sarà per sempre una sofferenza. Ma è forse proprio il Sole che mi aiuta nello scorgere i segreti più profondi della mia mente e soprattutto i suoi inganni? Sono scomposta e il Sole me lo ricorda. E io me ne vado scomposta lungo la mia strada.
Scomposta ma vera.
Scomposta ma lungo la strada illuminata dal Sole.
L’articolo e l’illustrazione sono a cura di Francesca, volontaria dell’Associazione