Fin da piccoli il mondo, per come ci si presenta, ci instilla la credenza che il disordine sia una cosa sbagliata, un errore, qualcosa da aggiustare… Mentre pare che l’ordine sia l’unico modo in cui l’armonia, e dunque la bellezza, possano realizzarsi. Bellezza è quindi sinonimo di perfezione.
Viviamo con un paradigma completamente sbagliato in cui ci viene insegnato che l’obiettivo nella vita è realizzarsi alla perfezione, non avere margine di errore, insomma, seguire un processo lineare che non accetta cambi di piani e imprevisti.
La ricerca della perfezione
È proprio questa idea di perfezione, questo vietarci di sperimentare e credere di dover essere già in grado di fare tutto al primo colpo, che ci porta ad essere disposti a tutto, a sopprimerci, a toglierci la possibilità di scegliere sinceramente cosa vogliamo fare senza dover considerare ciò che gli altri dicono, perché è proprio quest’ultima cosa che ci porta ad annullarci, prima come individui e poi come società.
Alla luce di questo, cosa succederebbe se cambiassimo i nostri paradigmi e le nostre credenze? Se iniziassimo a vedere il così temuto disordine come segreto per raggiungere l’armonia? Se fossero proprio quelle che noi chiamiamo “imperfezioni” a rendere tutto quanto perfetto?
Disordine e perfezione
Qualche tempo fa mi è capitato tra le mani un libro di Michela Murgia, “Futuro anteriore”, in cui si racconta una teoria molto particolare sull’idea di bellezza.
La tesi sconcertante è che sia proprio il disordine la vera bellezza degna di essere ammirata.
Per argomentare questo passo viene fatta un’indagine storica in cui vediamo chiaramente che gli edifici, i monumenti, le sculture e i quadri più belli siano nati da guerre, repressioni, interi genocidi, solo per dimostrare forza.
Si è usata la bellezza per affermare potere.
E ora, cosa c’è di bello in qualcosa che è stato costruito sull’oppressione, sulla forza e sull’annientamento di intere civiltà? Può qualcosa che definiamo bello portare con sé un bagaglio colmo di così tanto dolore?
Dove si trova la bellezza?
Prendendo un grande respiro iniziamo a rifletterci, proviamo ad applicare lo stesso tipo di ragionamento su di noi.
La nostra idea di bellezza ha bisogno di sofferenza per essere raggiunta? Davvero dobbiamo stare male per essere belli? Ci priviamo di vita litigando tutti i giorni con l’immagine allo specchio, con il nostro corpo, con il nostro cibo e con tutto ciò che ci tiene in vita in nome di quale bellezza?
La bellezza non abita nelle cose come dovrebbero essere, ma come sono; non è un sistema verticale e gerarchico in cui per arrivare al vertice serve togliere, ma è un piano orizzontale, dove tutto è frutto di amore, comprensione, empatia e di vita presa per com’è.
La bellezza non risiede nella perfezione ideale, ma nella realtà delle cose.
Perfezione, bellezza e corpo
Ora, perché il nostro corpo dovrebbe funzionare in modo diverso?
Anche noi siamo frutto di dialogo tra questa massa di carne viva che ci fa esistere e il nostro ‘io sono’.
Il corpo racconta storie, ed è dove vediamo insicurezze che si cela la vera bellezza, la bellezza di corpi, fragili, umani, che ci connettono al mondo, che ci permettono di essere.
Ci autopuniamo per un concetto che abbiamo assimilato in maniera sbagliata, eppure basta guardarsi attorno per vedere che la bellezza è equilibrio, serenità e libertà.
Diamo il diritto ai nostri corpi e alle nostre menti di stare bene e in salute, è così che omaggeremo la bellezza e supereremo la perfezione.
Bibliografia
M. Murgia, Futuro Interiore, Einaudi, Torino, 2016
L’articolo è stato scritto da Zoulikha