Sono cresciuta in una famiglia che ha sempre puntato al successo. Non alla fama, che è ben diversa, ma al successo personale, alla propria realizzazione massima. Ho conosciuto me stessa in un contesto in cui l’unica versione di me che potevo conoscere era la migliore. Non c’era spazio per essere altro, per essere meno della perfezione possibile per me stessa. Non c’era spazio per l’errore.
La mia relazione con l’errore
Qualche mese fa ho ricominciato la terapia, dopo lunghi anni di silenzi. Ho scoperto che ho il vizio di funzionare come una pentola a pressione: taccio, silenzio, ignoro, finchè non esplodo. E sono esplosa. Tanto da rendermi conto di aver bisogno di qualcuno che mi aiuti a trovare l’inizio di quella matassa di pensieri che affolla troppo spesso la mia testa.
È stata una decisione per me molto complessa, perchè purtroppo i percorsi di terapia che avevo intrapreso in precedenza erano risultati molto più dannosi che d’aiuto. Non avevo trovato la psicologa giusta per me, quella che davvero fosse in grado di trovare uno spiraglio da cui passare per avvicinarsi a me. Ad una me che chiudeva tutte le possibilità di accesso e si riparava in un castello di isolamento.
Ma stavolta qualcosa è stato diverso: ho trovato quel qualcuno che cercavo. Qualcuno che, finalmente, riuscisse ad ascoltarmi senza giudicarmi e senza pretendere di conoscere più di me riguardo al mio vissuto. Ed è qui, grazie a questa psicologa, che ho riflettuto sulla mia storia e sulla mia relazione con l’errore.
L’errore a scuola
In una seduta tra le tante è emerso il tema della scuola: ho raccontato di essere sempre stata una bambina estremamente diligente, affidabile e precisa in ambito scolastico e poi, crescendo, in ambito accademico. Studiare per me è sempre stato un dovere, sì, ma anche una passione, un arricchimento. In casa mia sono sempre stati evidenziati l’importanza e il valore dell’istruzione e formazione che ho avuto.
C’era solo un piccolo problema: la matematica era, ed è tuttora, il mio tallone d’achille. Ho provato tutti i metodi e le strategie possibili e immaginabili per cercare di migliorarmi in quell’ambito, ma nulla. Io e i numeri viviamo su due pianeti abissalmente opposti. Ogni volta che una verifica andava male, per me era come se mi avessero legato un peso alla caviglia e mi avessero buttato in mare. In casa era un gran dispiacere: “Una ragazza tanto brava, peccato per quella pecca in matematica”. Ecco qui che mancavo la versione migliore di me, la perfezione.
In generale, nel nostro modello scolastico ed educativo, ad un errore corrisponde sempre una conseguenza negativa. Una sgridata, una punizione, una privazione. L’errore è solo qualcosa da evitare: tutto deve essere perfetto, immacolato.
La differenza tra “versione migliore di me” e “perfezione”
Sbagliare, in qualsiasi ambito, è sempre stato per me vietato. Non tanto per volere degli altri, ma da me stessa. Sbagliare anche la più piccola cosa era fallire e fallire era impossibile per la versione migliore di me. Chi punta alla perfezione non può sbagliare, non può avere pecche. Nessuna macchiolina di sporco sull’abito bianco della perfezione.
Grazie alla terapia ho scoperto una cosa, però: la versione migliore di me non è perfetta. Nessuna persona lo è. C’è un’enorme differenza tra la ricerca della nostra versione migliore e la perfezione.
La prima è lì, all’orizzonte di un percorso di crescita a tratti faticoso ed estremamente formativo. È lì che ci attende perché sa di poter essere raggiunta. Ed è diversa da persona a persona: ognuno ha le proprie capacità, le proprie competenze e i propri limiti. La versione migliore di noi è ciò che risiede già nel nostro animo e deve essere scoperta e valorizzata di giorno in giorno.
La perfezione è ben diversa: lei si pone in cima ad un piedistallo altissimo, con il volto di un unico modello possibile. La perfezione è unica, sola, non ammette sfaccettature e non contempla sgarri. È un ideale socialmente strutturato e portato avanti negli anni. È un ideale che non sarà mai raggiungibile, un miraggio alla fine non di un percorso di conoscenza di sé, ma di dimenticanza, rimodellamento e adattamento. E tutto questo porta a dolore, più o meno forte: ignorare chi siamo in nome di un ideale irraggiungibile di perfezione porterà sempre, inevitabilmente, ad un lacerazione dentro di noi.
La dinamica perfezionista nell’anoressia nervosa
Questa distinzione tra versione migliore di me e perfezione è arrivata però un pò troppo tardi. Per anni ho infatti pensato che le due cose combaciassero, che fossero la stessa cosa. Ci ho creduto tanto da farla diventare la motivazione di ogni mio gesto e di ogni mio comportamento: io devo essere perfetta, la migliore possibile.
Questo meccanismo è stata la mia grande rovina. Quando mi sono ammalata di Anoressia Nervosa Atipica (che poi tanto atipica non è) la mia malattia mi faceva puntare alla perfezione, a quell’ideale irraggiungibile di corpo e fisicità. Mi ha privato di tanto in nome della perfezione. E al contempo, insieme a tutto il dolore della malattia, pensavo che quella dovesse essere per forza la versione migliore di me. Lo dicevano i giornali, i film, le serie tv, le immagini sui social. Quella doveva essere per forza la versione migliore di me. Anche perché questa ricerca spasmodica della perfezione e della versione migliore di me mi stava lacerando, divorando, isolando e torturando. Se tanto dolore non portava alla versione migliore di me, cosa poteva farlo?
“Pensati fallibile” e abbraccia l’errore…
Perciò la mia terapeuta mi ha detto: “Pensati fallibile”. Gli errori sono parte del percorso che ci avvicina a chi siamo davvero e alla nostra versione migliore. Sbagliare è inciampare, sì, ma è imparare a rialzarsi e a cambiare strada per raggiungere lo stesso obiettivo di prima. Sbagliare è naturale, è frequente, è inevitabile. “Pensati fallibile” perché non esiste perfezione. L’abito bianco è pieno di macchioline sporche, perché altrimenti sarebbe irreale.
“Pensati fallibile” e abbraccia l’errore, quando capita, perché è ciò che più di tutto ti indicherà la via da seguire. La via per la versione migliore di te, non la perfezione. Non un miraggio, non un’utopia. Una realtà, una certezza, un obiettivo tagliato su misura.
“Pensati fallibile”.